Io, censurato (democraticamente) perché filo-russo

Eugenio Di Rienzo

Da tempo ripeto ai miei giovani colleghi storici che, anche in Paese a democrazia avanzata come il nostro, il discrimine tra la libertà di ricerca ed espressione intellettuale e la possibilità di usufruire pienamente di quella libertà, si muove su margini che a volte illecite pressioni «ideologiche» rendono molto stretti. L'elenco di casi addebitabili a questo fenomeno di «censura democratica» è lungo. E a esso oggi posso aggiungere una mia recente disavventura.

Avvicinato, nei mesi scorsi, dall'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) per redigere un articolo su Obama e la Russia, all'interno di un volume dedicato appunto a fare un bilancio della Presidenza Obama (che sarà edito da Mondadori), ho accettato volentieri la proposta. Ho redatto il mio lavoro, che è stato approvato dal curatore dell'opera e inviato alla stampa. Qualche giorno fa - però - l'Ispi mi ha comunicato che il mio contributo, già in bozze, non poteva essere più pubblicato perché connotato da sentimenti smaccatamente filorussi e eccessivamente antiamericani. Sentito il curatore per avere spiegazioni, questi mi ha espresso il suo rammarico per la decisione e il suo dispetto per un'azione «piovuta dai piani alti dell'Ispi» che di fatto lo esautorava del suo legittimo diritto di decidere sul merito scientifico di quanto si doveva pubblicare. Questi i fatti che meritano, credo, qualche considerazione.

Posso magari concordare sulle mie simpatie per la Federazione Russa, ma devo aggiungere che esse sono le stesse che hanno animato, dopo l'insorgere della crisi ucraina, Henry Kissinger, l'ex ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock, Doug Bandow, già Special Assistant di Ronald Reagan per la politica estera, e tanti altri autorevoli analisti americani. Tutti concordi nel criticare la politica di confronto/scontro con la Russia inaugurata dall'amministrazione Usa in quest'ultimo biennio e nel definire il processo di allargamento della Nato verso est, iniziato con George W. Bush e proseguito da Obama, un errore fatale che potrebbe sconvolgere il già precario equilibrio politico mondiale.

Se il mio articolo è dunque filorusso (accusa che respingo) sicuramente non si può dire che sia antiamericano. Evidentemente l'Ispi - che, finanziata dal pubblico erario, si è trasformata nel think tank privilegiato del nostro Ministero degli Esteri - ha scelto di essere più realista del re. Ma se l'intento dell'Ispi era operare una beatificazione in vita di Barak Obama, perché rivolgersi proprio a me, che nel mio saggio del 2015 dedicato al conflitto russo-ucraino (Rubbettino eitore) non avevo risparmiato dure critiche alla Casa Bianca e poi respingere al mittente il mio saggio?

La risposta è forse in un documento (citato nel mio lavoro rifiutato) che portavo per la prima volta alla conoscenza del pubblico italiano. Si tratta della trascrizione del colloquio svoltosi durante il summit di Malta (2-3 dicembre 1989) tra il primo Bush e Gorbaciov. In quell'occasione, il Presidente Usa forniva le più ampie garanzie al Segretario generale del Partito comunista dell'Urss che mai gli Usa avrebbero approfittato del disfacimento del sistema socialista in Europa orientale per danneggiare i vitali interessi strategici della Russia. Un impegno che prima Bush figlio e poi Obama hanno ridotto, invece, a carta straccia.

Questo e qualcosa in più si potrà leggere nel mio saggio, che rigettato dall'Ispi, verrà ora pubblicato da L'Acropoli, la libera rivista diretta da Giuseppe Galasso che ha anche il grande merito di essere consultabile gratuitamente online all'indirizzo http://www.lacropoli.it/.

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