Poi capita così. Capita che un rapper di lungo corso e lungamente snobbato dai giornaloni diventi un inevitabile punto di riferimento anche per loro (che infatti gli dedicano tanto spazio). Paradossi dei pregiudizi: alla fine sono destinati a cadere. Come stavolta: e il disco che esce tra meno di una settimana è a modo suo la cronaca di questa parabola: «Ho fatto tutto come fosse questione di vita o di morte», spiega ora J Ax, 42 anni, milanese, ribelle pantagruelico nel senso che si mangia ogni classificazione possibile: non è di destra, non è di sinistra, litiga con Salvini su Facebook (l'altro giorno sulla liberazione di Vanessa e Greta) però litigherebbe pure con Vendola o chissà chi altro, è un rapper ma cita Ozzy Osbourne e Guccini, non si può certo dire che sia un bacchettone puritano ma come coach a The Voice ha difeso Suor Cristina «come Han Solo contro Darth Vader ma non giudico il suo disco».
Ormai lo conoscono tutti, non soltanto i ragazzi cresciuti con gli Articolo 31 e non solo gli spettatori del talent show che fu della Carrà, perché è diventato un brand , una cifra non solo musicale ma di costume, e in questo ruolo se la gode assai. Forse è, come dice, «il più odiato di tutti» ma dopotutto «solo ai cantanti senza successo vogliono tutti bene». Poi ora che, da caciarone con il berretto sulla fronte è diventato l'uomo con il cappello che copre uno dei più incredibili tatuaggi in circolazione (rappresenta un marchingegno dettagliatissimo) si gode la rivincita che il titolo del disco condensa alla perfezione: Il bello d'esser brutti . «Prima per me era un peso, ora è una figata», ha spiegato l'altra sera parlando tra un brano e l'altro dei venti in scaletta e facendo la cronistoria di dieci anni senza Articolo 31: «Era finito qualcosa e ci ho fatto i conti. Poi ho ripreso da solo e quando al Carroponte ho visto tutto quel pubblico per me ho capito di esser ritornato al punto dov'ero». Da lì, diciamolo, è migliorato. E in questo disco, che è rap'n'roll alla sua maniera, i versi dilagano ovunque senza troppi problemi, sono meno piacioni e più ficcanti («Come lo chiami un bimbominkia invecchiato, Rincominkia?» da Bimbiminkia4life con Fedez), pagano la loro bella tassa alla volgarità (trionfo in Hai rotto il catso ) ma sono focalizzati come in The Pub Song vagamente stile Jannacci e nell' Uomo col cappello arrivano alla perfetta ironia autocelebrativa: «Con il cappello sono Luciana Littizzetto alla Playboy Mansion: la sòla col cervello».
«Rispetto agli altri questo disco rappresenta tutte le sfaccettature di me», spiega lui magrissimo, quasi pelle e ossa e tatuaggi, e in effetti le sfaccettature sono tante per un ragazzo di Cologno Monzese che, su e giù sull'altalena della musica resta «re nel mio castello di sabbia» e forse si diverte ancora ad andare «nei centri sociali tutto vestito Armani». Dalla sua parte, ora che è pure imprenditore perché con Fedez ha fondato la rampantissima Newtopia, c'è l'esperienza: ha visto tutto e il suo contrario. E c'è che nessuno ha più forza del perdente che si scopre vincitore. Prendi Santoro e peyote , che è una intuizione alla J Ax quindi trasversale e impertinente: «Ho pensato che le droghe sono noiose, i talk show sono noiosi e quindi come sarebbe un talk show con tutti gli ospiti fatti di funghi messicani?». Rime ad alzo zero.
Poi, certo, in questo disco c'è il pezzo radiofonico ( Uno di quei giorni con Nina Zilli) e c'è quello cattivo ( Old Skull con i Club Dogo) però c'è soprattutto la voglia cazzara di un uomo intelligente che se ne frega se gli dicono «non ti vergogni alla tua età» perché guardate quanta strada ha fatto e a quanti deve dire grazie: nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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