Ormai ci hanno preso gusto. Da trent'anni e passa dicono di essere pessimisti senza ritegno, di non sapere come andrà a finire la loro carriera e tutti questi bla bla. Poi pubblicano un disco come Delta machine, tre anni dopo il mediocre Sounds of the universe. Alla faccia della superstizione, è il tredicesimo della loro storia, con tredici canzoni nella versione standard e diciassette in quella deluxe. Un piccolo divertissement, certo, forse neanche voluto, perché i Depeche Mode non sono certo una band di allegroni. Ma sanno come cucirsi addosso i propri brani e pazienza se Martin Gore si è nascosto dietro a un riferimento che mette d'accordo pochi: «Musicalmente è simile a Violator e Songs of faith and devotion». Mah. Di certo il singolo Heaven è depechemode al cento per cento, una ballata soffertissima, appena attutita da timidi riverberi e qualche eco. Ma nel complesso le tredici/diciassette canzoni sono per forza lontane dai quei due album che oltre vent'anni fa, grazie a pezzoni epocali come Personal Jesus o Walking in my shoes, hanno dato le coordinate definitive dell'elettropop lanciando definitivamente la «band elettronica più popolare e longeva che il mondo abbia mai conosciuto» (Q Magazine dixit). In Delta machine c'è più manierismo compositivo, per forza, perché dopo tre decenni la conoscenza del mestiere non si nega a nessuno. Ma ci sono anche una ricerca stilistica, una produzione inappuntabile e un aggiornamento tecnologico che tra loop (My little universe), lentezze quasi snervanti (Slow) e atmosfere introverse (The child inside) fanno di Delta machine il disco che un tifoso dei Depeche Mode si può ragionevolmente attendere hic et nunc, qui e in questo momento di una carriera che ha pochi paragoni. Da quando per Rolling Stone erano «la quintessenza della musica elettronica degli anni '80», sono diventati la quintessenza delle classifiche mondiali (dischi in top ten in oltre venti nazioni, States e Uk compresi) e un brand assolutamente riconoscibile al primo colpo. Potenza del talento. E di un po' di maledizioni. Per non farsi mancare nulla, da quando si sono formati nella cupissima Basildon nell'Essex inglese i Depeche Mode (letteralmente «gazzettino di moda») hanno condito con overdosi, sbronze croniche e tentati suicidi una delle più clamorose parabole della storia del rock, roba da oltre cento milioni di dischi venduti e decine di milioni di spettatori ai concerti. Ora di nuovo. Quando ritornano sul Pianeta Terra, i Depeche Mode non impiegano molto a presentarsi. Intanto stavolta il cantante Dave Gahan, 51 anni, volto invecchiato da decenni di eroina e dal tumore che lo ha azzoppato tre anni fa, si è tolto lo sfizio di fare l'attore nello spot della nuova Golf (colonna sonora della band, ovvio)e ha risvegliato l'attenzione del pubblico: «Non è un disco blues ma ha certamente un'atmosfera soul» ha detto. E poi il lancio di Delta machine è stata così ben studiata che il web è già intasato di notizie. E di sfide (vinte già in partenza): come quella di mettere il disco in streaming su iTunes una settimana prima della pubblicazione (martedì prossimo) dall'iniziale Welcome to my world fino a Goodbye. D'altronde i Depeche Mode sono una passione intoccabile. Tanto per capirci, l'ultima tournèe ha portato negli stadi oltre tre milioni di depechemodaioli.
E i due prossimi concerti italiani (San Siro 18 luglio e Olimpico di Roma il 20) esibiscono una prevendita entusiasta e a scatola chiusa, visto che, alla fine, i biglietti risulteranno in gran parte venduti prima della pubblicazione del disco. Segno che continuare a ripetere di essere tuttora «pessimisti fino al midollo» (come hanno appena fatto per l'ennesima volta alla Reuters) porta dannatamente bene. E vediamo chi dimostra il contrario.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.