A Locarno vanno in scena i deliri dell'ultimo brigatista

In Sangue recita Senzani, killer mai pentito di Roberto Peci. E dice: "Ho ucciso un traditore ma non sono un cattivo maestro"

Una scena del film "Sangue" di Pippo Delbono
Una scena del film "Sangue" di Pippo Delbono

«Delbono choc». «Passaggio a vuoto per Sangue». E via così. È stata una caporetto, almeno a giudicare dai primi commenti, il battesimo al Festival di Locarno di Sangue, il nuovo film di Pippo Delbono che avrà una distribuzione irrisoria nelle sale ma distribuirà ceffoni alla memoria e al buon senso di tanti italiani. D'altronde la decisione di mescolare in un unico copione gli ultimi istanti di vita della propria madre con le memorie di Giovanni Senzani «del capo più ambiguo e sanguinario delle Brigate Rosse» (il Fatto scripsit) aveva un destino già scritto. Ma la realtà ha drammaticamente peggiorato le aspettative. Quando Sangue è stato proiettato ai giornalisti, qualcuno se ne è andato dopo mezz'ora e non importa se per ragioni estetiche o politiche. E quando è iniziata la conferenza stampa, apriti cielo. Pippo Delbono, regista molto impegnato ma poco impegnativo, che anche stavolta ha confezionato il proprio film utilizzando quasi esclusivamente i cellulari, ha risposto rimanendo vago nei propri confini incerti: «Da piccolo giocavo con le bambole e odiavo le pistole, sono un buddista distantissimo dal delirio della violenza di quegli anni, anzi di quella gente avevo quasi paura». Oppure «la morte di mia mamma (filmata per intero - ndr) è stato un messaggio d'amore e io avevo bisogno di quello e di uno che parlasse di quel passato». Appunto.
Quando Senzani, aggrappato a una lucidità acritica che lascia tuttora senza parole, ha iniziato a parlare di quel passato, tutti sono rimasti senza parole e qualcuno, in sala stampa, ha riassunto urlando: «Ha ucciso Roberto Peci e ora trascorre la sua vita al mare con il nipotino». Senzani, che secondo molti ha avuto a che fare anche con il sequestro Moro ed è colpevole dei sequestri D'Urso e Cirillo, era nel commando Br che, seguendo un metodo mafioso (assassinare un parente del proprio obiettivo) ha rapito e ucciso l'operaio Roberto Peci, fratello di Patrizio il primo pentito delle Brigate Rosse. Roma 3 agosto 1981. Per di più Senzani, un criminologo nato a Forlì nel 1942, mai pentito, in semilibertà dal 1999 dopo diciassette anni di carcere e definitivamente libero dal 2010, ha pure filmato attimo per attimo la morte. Un paio di settimane fa all'Espresso ne aveva descritto gli ultimi momenti con sprezzo indifferente, che è misteriosamente passato sottotraccia. E ieri, dopo aver (ebbene sì) lamentato la tortura subita dalle forze dell'ordine al momento dell'arresto, ha riconosciuto con nonchalance di aver torturato «anche psicologicamente» la sua vittima durante i 55 giorni di rapimento (non casualmente gli stessi riservati ad Aldo Moro). Aggiungendo: «La morte è sempre orribile quando la si dà e quando la si subisce, fu una decisione politica». E non importa che Patrizio Peci non c'entrasse nulla: era «traditore» come il fratello pentito perché «questo è nelle carte processuali. La nostra verità è che erano entrambi brigatisti a livelli diversi».
Agghiacciante che dopo 32 anni non ci sia neanche uno straccio di parola consapevole e addolorata ma tant'è: è persino inutile inciampare nell'indignazione. «Non posso più essere un cattivo maestro - ha detto -. Durante il funerale di Prospero Gallinari ho visto quello di Aldo Moro, della guerriglia, della lotta armata, è una storia finita». Di certo lo sarebbe stata un poco di più se il film di Delbono si fosse sviluppato come (forse) era nelle intenzioni ma non, a giudicare dalle reazioni, nelle realtà: ossia affiancare la morte di una persona cara (nel film si racconta anche la scomparsa della moglie di Senzani) con quella di una follia sanguinaria della quale l'ex ergastolano, fondatore tra l'altro del Partito della Guerriglia, fu senz'altro uno dei motori più potenti. Missione fallita. E non certo perché il film, a seguirne le critiche, non mostra la precisione analitica che, ad esempio, si trova in libri come Il sole dell'avvenire di Fasanella e Pannone.

Ma perché è perso in partenza il tentativo di confrontare due dolori così sconfinati. Se non altro perché uno, a quanto pare, non è mai stato provato: «Non abbiamo lasciato traccia», ha detto ieri Senzani. Chiedete conferma ai parenti di quell'operaio ripreso mentre moriva ucciso, e incolpevole.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica