Il gran circo dell'arte contemporanea ha varie strade per affermare il suo ruolo: può giocare la partita del (legittimo) business confezionando fiere sempre più raffinate (vedi Art Basel), puntare sulla ricerca (occhi puntati sulla Biennale di Venezia del prossimo anno: il padiglione Italia, a cura di Milovan Farronato, sarà di certo «out of the box», fuori dall'ordinario) oppure cercare di cambiare le cose. La 12ª edizione di Manifesta, biennale nomade europea, nata nei primi anni Novanta da un'idea della storica dell'arte olandese Hedwig Fijen, che ancora la dirige, ha scelto questa terza via. Di più: ha scelto Palermo, per incistate nel ventre molle della città - sopratutto nel centro storico della Kalsa, diroccato e magnifico, abbandonato da tutti, mafia inclusa, perché dato per morto - l'energia di cinquanta progetti artistici, la maggior parte dei quali commissionati per l'occasione. Il Monte Pellegrino pare vegliare dall'alto la carica di creativi pronti a mostrare «Il Giardino Planetario. Coltivare la coesistenza» (da oggi fino al 4 novembre, manifesta12.org), un sistema diffuso di mostre, performance, interventi urbani, progetti letterari, musicali, scientifici messo a punto dall'olandese Bregtje van der Haak, dallo spagnolo Andrés Jaque, dalla svizzera Mirjam Varadinis e da Ippolito Pestellini Laparelli, che gioca in casa e che, in quanto partner del prestigioso studio OMA di Rotterdam fondato da Rem Koolhaas, ha realizzato Palermo Atlas, utile studio urbanistico sulla città.
C'è un'Europa della cultura - poco ingessata e paludata - che pare funzionare, perché rifugge l'effimero (e il finto buonismo). Engagement, impegno, coinvolgimento è la parola d'ordine della direttrice che con nordico pragmatismo ha capito che in Sicilia nulla accade senza pazienza e discrezione. In due anni di lavoro sono state coinvolte associazioni locali e scuole: «art production», la definiscono, e pare funzionare. C'è chi ha fatto i calcoli (Manifesta porterà 100mila turisti in più nei prossimi tre mesi), ma il beneficio immediato è già sotto gli occhi di tutti: l'apertura di antichi palazzi fino a oggi ignoti o preclusi agli stessi siciliani. A partire dal teatro Garibaldi, quello dove il condottiero pronunciò la famosa frase «O Roma, o morte», un tempo calcato da Emma Dante, Peter Brook, Wim Wenders, poi caduto in disgrazia e ora restituito alla città. «Palermo è come una cipolla», mi dice una guida locale. Saporita e semplice, è fatta di strati diversi e va sbucciata con cautela. La storia di Palazzo Butera è, a tal proposito, esemplare: grandioso edificio settecentesco, sta rinascendo grazie al generoso impegno dei collezionisti Francesca e Massimo Valsecchi. Ospita alcuni dei progetti più interessanti di Manifesta: le colorate installazioni della brasiliana Maria Thereza Alves, la carta da parati del collettivo americano Fallen Fruit, il video di Renato Leotta. E mentre il restauro del palazzo procede (serviranno vari mesi: Palermo capitale italiana della cultura è progetto in fieri), la scoperta: una radice di Jacaranda, una rigogliosa pianta brasiliana, è cresciuta tra i mattoni, succhiando l'acqua delle tubature. Davvero tutto può succedere qui. Ecco perché l'idea di «giardino-planetario» e di sincretismo culturale, sviluppato da Manifesta partendo dalle riflessioni del paesaggista e filosofo Gilles Clément, è calzante come di rado accade per le mostre-evento che occupano una città. Cuore pulsante del progetto è l'orto botanico, fondato nel 1789 come laboratorio finalizzato alla coltivazione di specie straniere, lo dimostra anche la settecentesca Veduta di Palermo del siciliano Francesco Lo Jacono - dipinto esposto alla Gam - dove si desume che «nessuna pianta è indigena». Oggi ospita una delle tre sezioni di Manifesta, «Garden of Flows», dedicata al tema della tossicità: suggestivo l'erbario del colombiano Alberto Baraya, raffinate le stampe botaniche della svedese Malin Franzén, soffocante il «mercato degli oggetti» del palestinese Khalil Rabah. Lo spazio è punteggiato di installazioni: se amate le atmosfere distopiche, non perdetevi il video del verso del pappagallo in via d'estinzione realizzato dagli artisti Allora & Calzadilla.
Manifesta riflette anche sui flussi digitali e le nuove connessioni «innaturali». La sezione «Out of control» a Palazzo Ajutamicristo ospita una cabina telefonica dove contattare agenti segreti (provato: linea occupata) e un'installazione di Filippo Minelli sui Big Data. C'è poi «City of stage» a svelare la vera natura della città. E quando Palermo rifugge la sua ritrosia si ottengono i risultati migliori, come la toccante installazione del Masbedo a Palazzo Costantino, l'installazione Lapidi del bravo Yuri Ancarani sulle vittime di mafia nell'Oratorio della Madonna dei Peccatori Pentiti o il giardino urbano allo Zen. Palermo, città di scrigni (di arte e di storia): luoghi come Palazzo Mazzarino, aperto per l'occasione al pubblico dai padroni di casa. I marchesi Berlingeri, grandi collezionisti d'arte - dalla maestosa Donna Florio del Boldini a Damien Hirst - hanno concesso al norvegese Per Barclay di riempire le scuderie di olio scuro (chi vi ha immerso la mano se n'è pentito). Installazione suggestiva, uno specchio nero in cui paiono tuffarsi le colonne: venerdì sera, la Palermo che conta - e appassionati d'arte come Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Giovanna Melandri, Vittorio Sgarbi - ha brindato lì, complice Ruinart, lo champagne dell'arte.
Manifesta12 è anche il Grand Hotel Des Palmes, dove soggiornava Francis Ford Coppola durante le riprese del Padrino, che ospita nelle sue sale barocche e decadenti il progetto di Luca Trevisani dedicato al dandy Raymond Roussel e, non troppo lontano, Casino Palermo, appartamento in cui la galleria milanese Viasaterna si è momentaneamente trasferita per creare, fra le strade punteggiate dai negozi di Addio Pizzo, una residenza d'artista che funzioni per davvero. Palermo è una cipolla: sbucciandola ci si commuove.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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