Altro che terrorismi arcaici, è il Drago cinese la vera minaccia alle società libere del terzo millennio. La buona notizia, è che il Drago sta accumulando errori, ed è quindi, potenzialmente, addomesticabile. Sono queste, le tesi essenziali del nuovo saggio di Edward Luttwak, «Il risveglio del drago. La minaccia di una Cina senza strategia» (pagg. 280, euro 14), da oggi nelle librerie per Rizzoli. Il governo totalitario di Pechino sta perseguendo unacrescitaspasmodicasu3direttrici:l’economico,ildiplomatico e il militare. Ma, secondo Luttwak, questi obiettivi si contraddicono l’un l’altro, e la crescita esponenziale del Drago comporta l’evocazione di forze compensatorie contrarie, che oggi si saldano attorno agli Usa. È questo, l’errorestrategico della Cina, dettato dalla storica presunzione di autarchia rispetto al resto del mondo. Se la tensione tra Cina e coalizione anti-cinese diventerà esponenziale, stante la ritrosia reciproca all’escalation militare e nucleare, per Luttwak la strategia occidentale più efficace sarà un conflitto«geo-economico»contro il Drago. Di seguito, per concessione dell’editore, un estratto del libro.
La leadership cinese intende insistere nel perseguire obiettivi incompatibili: una rapidissima crescita economica e una rapidissima crescita militare e un proporzionale aumento dell'influenza globale.
È la logica stessa della strategia a dettare l'impossibilità di progressi simultanei in tutti e tre i campi: inevitabilmente, il potenziamento militare della Cina sta già suscitando reazioni - ancor più, com'è ovvio, per via della sua rapidità. Tali reazioni a loro volta stanno già ostacolando, e lo faranno sempre più, il contemporaneo progresso nei tre ambiti - economico, militare e diplomatico -, sia pure certamente in diversa misura. Tutto ciò è assiomatico finché continuano a esistere Stati indipendenti tra i vicini e i pari a livello mondiale della Cina. Al momento attuale, e non siamo che all'inizio, il rapido potenziamento militare della Cina sta provocando ostilità e resistenza anziché accrescerne l'influenza. (...)
La logica della strategia non si applica in modo automatico, ma costringe i leader ad agire, perciò alcune risposte all'ascesa della Cina sono già in corso, malgrado l'assenza di politiche nazionali dichiarate al riguardo e di tentativi di coordinamento internazionale, se non a livello ancora embrionale. Negli ultimi dodici mesi, queste reazioni organiche alla percezione di una Cina sempre più forte e potenzialmente minacciosa hanno incluso (...) il continuo, benché estremamente lento, riorientamento degli sforzi militari complessivi degli Stati Uniti dalle futili bevute di tè in Afghanistan al contenimento della Cina; entro la fine del 2011, le reazioni spontanee, scoordinate e quasi istintive alla crescita militare cinese sono state integrate con la comparsa di un nuovo concetto di pianificazione interforze implicitamente focalizzato sul Pacifico e la Cina, «The Air Sea Battle», in apparenza operativo ma presentato come strategico, dotato di un proprio ufficio di tutela diretto da un ufficiale a tre stelle. (...)
Le risposte confinate alla sfera militare, attraverso creazione di forze, controschieramenti e iniziative analoghe, da sole non possono risultare adeguate a lungo. (...)
Ingenti spese militari finalizzate a contrastare la Cina devono quindi essere valutate con attenzione, poiché in realtà non rispondono al problema di destabilizzarne la crescita, mentre d'altro canto nulla di simile a una guerra generalizzata Cina/anti-Cina, con eserciti sul campo, battaglie navali e bombardamenti aerei convenzionali, è possibile nell'era nucleare. Può darsi che la Cina stia commettendo esattamente lo stesso errore colossale fatto dalla Germania imperiale dopo il 1890, ma questa non è una devoluzione destinata a terminare con un altro 1914 e un'altra guerra di distruzione.
L'esistenza delle armi atomiche non preclude combattimenti tra coloro che le possiedono, ma ne limita drasticamente le forme, poiché ciascun partecipante è obbligato a evitare o almeno a contenere i rischi di un'escalation a livello nucleare. (...)
I preparativi atti a fungere da deterrente, o all'occorrenza a garantire la difesa, contro eventuali azioni militari che l'inibizione nucleare consentirebbe ancora a Pechino - non un attacco al Giappone, per esempio, né qualcosa di più di una guerra di confine localizzata con l'India -, sono ovviamente necessari per scoraggiare tali attacchi o perlomeno negare ai cinesi un'escalation dominance.
Tuttavia, benché indispensabili, questi preparativi non sono sufficienti: non possono racchiudere in sé tutta la resistenza provocata dalla Cina se la sua rapida crescita economica e un commisurato potenziamento militare persisteranno negli anni a venire.
L'assioma secondo cui gli Stati indipendenti si opporranno con ogni mezzo possibile alla perdita della loro indipendenza sarà inevitabilmente espresso nell'unico modo ancora consentito dall'impossibilità di un conflitto su larga scala, cioè attraverso strumenti «geo-economici» - la logica della strategia nella grammatica del commercio. Se la Cina si ostina a utilizzare la sua crescita economica per acquisire anche un potere corrispondente, sviluppandosi in maniera armonica all'interno e al contempo rompendo gli equilibri di potere e l'armonia all'esterno, la risposta deve mirare a ostacolare la sua crescita economica, se vuole risultare efficace.(...
L'ineluttabile esigenza di rallentare la crescita dell'economia cinese sarà accettata più facilmente da altri Paesi inclini ad approcci mercantilisti, mentre per gli Stati Uniti colliderà con un inviolabile dogma ideologico, oltre che con interessi economici politicamente importanti. Ma la strategia è più forte della politica.
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