"Nessun inutile rimpianto, e non è possibile etichettarmi"

L'intellettuale presenta il nuovo libro "Zona industriale"

"Nessun inutile rimpianto, e non è possibile etichettarmi"

Eduard Limonov probabilmente non esiste. Non come tutti gli altri umani, perlomeno. Non lo afferri, perché lui cambia, evapora, riappare, scappa e ritorna. È un mutaforma. È Eduard Veniaminovich Savenko, il figlio del commissario del popolo, del cekista con doppia vita, doppia famiglia, e notti insonni per i sensi di colpa. È il teppistello di Dzerzhinsk, la città industriale sul fiume Oka, non troppo lontano da Gorky. È il bohémien newyorkese che si atteggia a punk e per sopravvivere si fa sodomizzare da un nero. È il leader del partito nazional bolscevico e il fondatore del giornale Limonka, come una bomba a mano, a forma di limone. Naturalmente è anche il personaggio del romanzo di Emmanuel Carrère. Limonov lo puoi solo inseguire, come adesso, che sta a Roma e si racconta con in mano il suo nuovo libro: Zona industriale (Sandro Teti editore). È l'ultima immagine, per ora, che vuole dare di sé.

Ora scopriamo che ha un fratello.

«A quanto pare sì. È stata una sorpresa anche per me. Ha bussato una notte nella mia casa di Syry, il quartiere dove cartografo la metamorfosi della Russia e mi ha detto: sono il figlio di tuo padre».

Avete passato una notte a specchiarvi nello stesso padre. Poi non vi siete più visti, perché?

«Perché siamo russi. Voi italiani siete diversi, la famiglia, il sangue. Noi brindiamo al nostro destino».

Ha mai più incontrato Carrère?

«Certo. Tre volte, almeno».

Avete parlato del romanzo?

«No, anche perché io ho letto solo le prime 45 pagine. È una sua opera. Non deve piacermi. Carrère mi ha visto così, io non mi vedo come mi descrive, ma non è importante perché lui per me ha fatto una gran cosa. Mi ha presentato al pubblico di massa. Il suo romanzo è stato tradotto in 35 lingue. Ha avuto un successo strepitoso e impensato per lo stesso Carrère e, dunque, per me».

Chi è Limonov?

«Dipende da come mi sveglio la mattina».

Personaggio o autore?

«Io sono una persona in perenne mutamento e non credo sia possibile afferrarmi o rinchiudermi in qualche formula facile. Scrittore, personaggio, politico sono solo etichette che servono a rassicurare gli altri. A me piace evolvermi, ogni giorno, fino alla fine».

Ha rimpianti?

«No. Sono inutili».

Cosa le pesa di più della vecchiaia?

«Che qualcuno mi dica vecchio. Lo sono?».

Solo per l'anagrafe e la burocrazia.

«Appunto, quindi chi se ne frega. Sto bene, benissimo, sto da Dio. Mi sento al massimo della mia potenza».

Come il Faust di Goethe. Si vede simile a lui?

«A dir la verità, è da poco che ho compreso la sua grandezza, e proprio alla mia età, sono finalmente riuscito a comprendere davvero il dilemma di Faust. Quando, da giovanissimo, lo lessi per la prima volta, rimasi piuttosto deluso per il modo antiquato con cui si svolgeva la trama. Oggi, rileggendolo, il Faust mi appare la parabola di un uomo che vorrebbe allungare la propria vita all'infinito riempiendola di un senso superiore».

Lei si sente più russo o europeo?

«Io sono russo, ma vi ricordo che in Europa ci sono 118 milioni di russi. Di quale Europa poi stiamo parlando? L'Europa è tante cose. È la Ue. È l'euro. È l'Europa di Goethe e l'Europa che finisce agli Urali. È l'Europa con la Russia al centro».

Zona industriale è il ritratto delle sue ragazze. Cosa le hanno lasciato?

«Due figli».

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