Peccato, quest'anno gli è andata male: ha incassato «solo» 28 milioni di dollari. Per capirci, quattro in meno del 2013. «Ah sì?», spiega lui con nonchalance . Tanto che gli importa: l'olandese dal volto squadrato Tiësto (il nome d'arte Tijs Verwest, 45 anni) è da un decennio nella top ten dei deejay più tosti dei bigoncio, l'unico a finire insieme con l'hardcore Skrillex nella lista dei 100 uomini più influenti del pianeta: «Noi dj siamo ormai membri di una grande comunità globale» Con Tiësto, più che il «cosa» (il suo è uno stile a metà tra house e trance), conta il «come»: e lui in console è aggressivo e ipnotico, meno pop di Calvin Harris e meno romantico di Guetta. E, più che un dj, ormai è un catalogo di record: ha incassato 450mila dollari per una sola serata, è l'unico uomo dopo Sinatra, Elvis ed Elton John ad aver tenuto uno spettacolo al Bellagio Fountain Show di Las Vegas, il primo ad aver suonato un concerto solo per Twitter e quello che ha venduto più copie con un solo disco di elettronica ( Elements of life del 2007). E ora con il nuovo A town called Paradise il bis è dietro l'angolo (l'altro ieri è uscito il nuovo singolo Light Years Away ). Insomma se l'edm, ossia l'electronic dance music, è diventata una delle voci più importanti del fatturato pop, un bel po' del merito è suo: «Ma mi arrabbio ancora quando dicono che i deejay non suonano».
Come non suonano?
«Molti non capiscono il nostro mondo e pensano che i dj si limitino a mettere i dischi. Perciò riceviamo molte critiche. Per essere onesti, sappiamo creare musica anche se, in effetti, fare il deejay non è poi così difficile. Ma non lo è neppure suonare la chitarra dopo aver preso lezioni per dieci anni».
Comunque il suo nuovo disco è un altro cambio di marcia: stavolta più potente.
«Gli ho dedicato così tanto impegno che per forza alla fine è diventato corposo e aggressivo»
C'è pure un brano che si intitola Rocky e potrebbe essere la colonna sonora della corsa sulla scalinata di un moderno Rocky Balboa.
«È una canzone molto cinematografica e musicalmente drammatica. Sì, potrebbe pure andar bene per quella scena».
Lei in sostanza mescola elettronica e dance. Una strada aperta quasi quarant'anni fa dai Kraftwerk.
«Chi può negarlo?».
Nessuno allora avrebbe immaginato una evoluzione del genere.
«E nessuno può negare che loro siano i veri inventori della musica elettronica. Hanno abbattuto le barriere e mi ispirano ancora oggi, come credo ispirino tanti altri».
Quindi è anche merito loro se la scena dance è diventata il fenomeno mondiale più esagerato degli ultimi anni.
«E penso che sia soltanto un bene. Finalmente anche negli Stati Uniti questa realtà è arrivata ai livelli più alti».
Ma allora oggi i deejay sono come le rockstar di una volta.
«Beh ormai noi siamo diventati popolari e c'è moltissima gente che non ascolta neanche più rock ma soltanto dance. Per loro in effetti siamo come rockstar».
A proposito, conosce qualche grande deejay italiano, magari Fargetta o Stylophonic o Benny Benassi?
«Certo che sì, sono molto popolari anche fuori dall'Italia e qualche volta ci incrociamo in giro per il mondo».
Le piacerebbe collaborare con qualche artista italiano, magari un rapper?
«No, con i rapper non saprei proprio come fare, non ho mai interagito con quel mondo. Ma con qualche popstar italiana perché no?».
Se dovesse consigliare qualche altro deejay da ascoltare?
«Direi MOTi e Dzeko&Torres: li ho scelti per la mia etichetta perché penso che il futuro della dance elettronica passi da loro».
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