Darsena Christmas Village, zona Navigli, Milano
La Darsena di Milano si era trasformata in un'isola natalizia dall'atmosfera magica. I milanesi avevano sfruttato quell'ultimo sabato prima delle feste per uscire a fare compere, invadendo in massa il villaggio di Natale. Le casette in legno luccicanti di decorazioni natalizie, dove si vendevano giocattoli e prodotti artigianali, venivano prese d'assalto. Nell'aria si spandeva il profumo dolciastro dello zucchero a velo e delle crêpe e quello più pungente delle caldarroste. Un gigantesco abete, sontuosamente addobbato, svettava al centro del Christmas Village: le persone ci si accalcavano intorno per farsi fotografare o scattarsi dei selfie. Musiche in tema natalizio si riversavano dagli altoparlanti addossati agli chalet in legno ricoperti finalmente di neve vera e non artificiale.
Houssa aveva attraversato i Navigli per raggiungere la Darsena, stupito dalla marea di cittadini e di turisti che affollavano le passeggiate, i moli e le banchine, curiosi di vedere i canali imbiancati e le chiatte galleggianti ricoperte di nevischio; gli era sembrato di essere ad Amsterdam o a Gand. In vista delle festività imminenti, il Comune quel sabato aveva eccezionalmente dato il permesso di anticipare lo storico appuntamento domenicale a cadenza mensile del Mercatone dell'Antiquariato, che ospitava più di trecento espositori lungo il primo tratto del Naviglio Grande, da viale Gorizia al ponte di via Valenza, su un percorso di quasi due chilometri, affacciato sulle sponde del canale più antico e pittoresco di Milano. La città aveva risposto più che positivamente all'evento, assaltando le bancarelle di articoli vintage.
Sulla Darsena, Houssa si mise in coda per visitare la «casa di Babbo Natale», dove ad accogliere i bambini e a ricevere le loro letterine c'era un vecchio grassone vestito da Santa Claus, seduto su una poltrona che, sotto il suo peso, pareva sul punto di esplodere in mille pezzi. Due idioti sghignazzanti mascherati da elfi gli facevano da spalla e gestivano la fiumana di bambini festanti. La fila per farsi fotografare con lui era lunga, ma ciò non dissuase il ragazzo. Vicino alla casupola era attraccata la «slitta» galleggiante con tanto di squallide riproduzioni di renne, sorvegliata da altri folletti, in procinto di partire con una trentina di persone per un tour dei canali. Poco più in là, i milanesi si vantavano delle loro impacciate evoluzioni su una pista di ghiaccio fluttuante a sbalzo sull'acqua, al ritmo di una canzone di Mariah Carey, mentre amici e parenti li riprendevano con i cellulari manco fossero campioni olimpionici di pattinaggio artistico. Houssa si disse che meritavano di morire anche solo per quello.
Osservò la zona circostante. La gente arrivava dall'ingresso di piazza XXIV maggio e, in un andirivieni nervoso, si aggirava spaesata tra le casupole in cerca dei regali mancanti o di qualche leccornia con cui ingozzarsi. Valutò approssimativamente che nel raggio di sessanta metri intorno a lui dovevano esserci almeno cinquecento persone: meglio perfino delle più rosee aspettative del Maestro.
«Non sei un po' troppo grande per farti ricevere da Babbo Natale?» disse una voce alle sue spalle.
Houssa si voltò. Un uomo che teneva per mano un bambino lo fissava con diffidenza; gli doveva apparire strano che quel ragazzone fosse da solo in coda per incontrare Santa Claus, in mezzo a decine e decine di bambini eccitati e genitori annoiati.
Stava per rispondergli di farsi i cazzi suoi, quando udì in lontananza le urla in arabo e poi le sorde deflagrazioni, una di seguito all'altra. Moussa e Younes si erano fatti esplodere rispettivamente in Ripa di Porta Ticinese e sull'Alzaia Naviglio Grande, come concordato quella mattina. Per qualche istante il fragore fu sostituito da un silenzio irreale, che si dissolse subito dopo in una selva di urla di terrore e di dolore.
«Che Allah vi abbia in gloria, fratelli miei» pensò Houssa, pronto a raggiungerli, osservando in lontananza le colonne di fumo che si levavano verso il cielo lattiginoso.
Con un gesto secco tirò giù la zip del cappotto,
rivelando il giubbetto esplosivo da tredici chili.«Non sono io quello grande...» disse all'uomo che lo fissava inebetito. «Allahu akbar!» gridò poi il franco-tunisino, aprendo le porte dell'inferno su quel paradiso artificiale.
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