Forse un po' di quella barba, che comunque fa tanto regista e che è un suo tratto distintivo, gli è cresciuta sopportando le polemiche che cadono - puntuali - sulla sua testa ad ogni uscita film. Una legge di gravità newtoniana che un po' lo stressa, un po' lo annoia e un po', diciamolo, non è affatto male per promuoversi. Renzo Martinelli è ormai considerato il regista «politicamente scorretto». E poi «anti-islamico». E poi «leghista». L'ultimo suo film 11 settembre 1683 - in uscita l'11 aprile - è incentrato sull'assedio di Vienna da parte dei turchi e sulla conseguente eroica vittoria dei cristiani guidati da Marco D'Aviano. Un dramma storico dal titolo decisamente esplicito.
Martinelli, il suo film storico esce a breve e già fioccano le polemiche: sul contenuto, sulla sua opportunità, sui soldi impiegati, sulla distribuzione. Ma non le passa la voglia di fare film?
«Figuriamoci. Io ne finisco uno e già penso a quello successivo».
Assist perfetto: e dunque di che tratterebbe il prossimo film?
«Del caso di Ustica. É un thriller in co-produzione con Francia e Belgio, primi ciak in estate, uscirà nel 2014. Come ai tempi di Piazza delle Cinque Lune, il film che feci sul caso Moro, ho compiuto un'indagine accurata, insieme a due ingegneri aeronautici. Ho studiato i tracciati radar del volo del DC-9, tutto il materiale disponibile, ho fatto incrocio dei dati. E fornirò la mia verità, che non è quella del cedimento strutturale, né della bomba, né dei caccia francesi».
Allora lo vede che per lei essere urticante è una missione? La sua è indole o astuzia commerciale?
«Allora, diciamo che io ho tre lauree, una delle quali in scienze politiche a indirizzo storico. Amo la storia e mi viene naturale raccontare di questo. Non c'è nessun calcolo, anzi c'è tanta fatica perché viviamo in un Paese dove ormai funzionano solo commedie e film comici. Come si dice, gli uomini sorridono al loro tempo più che ai loro padri: la tv che abbiamo è questa, la tecnologia digitale ci spinge alla velocità e ci allontana dalla riflessione e dall'approfondimento. E dunque anche dai drammi storici».
Quindi la polemica sul passo indietro di Rai sulla distribuzione, passata da 01 Distribution di Rai Cinema alla piccola Microcinema sta tutto nei tempi grami?
«Il film doveva uscire a fine gennaio, poi con le festività natalizie si è perso tempo per la promozione. A quel punto 01 Distribution aveva fin troppi titoli da lanciare e, di comune accordo, si è deciso di far distribuire il film da Microcinema, piccola realtà che può concentrarsi con passione sulla promozione del mio film».
Il ritiro della Rai sembrava nasce dal timore di aggiungere costi a quelli di produzione già considerati eccessivi.
«Una falsa polemica. Il film è costato 10 milioni di euro. Di questi, quelli provenienti dalla Rai sono 4 milioni e centomila. Una somma che la Rai recupererà ampiamente anche solo con la raccolta della pubblicità quando il film andrà in tv l'anno prossimo, due puntate in prima serata. Il loro è stato un investimento da fiction: quella su Modugno gli è costata quasi 5 milioni».
C'è chi alludeva anche a timori di un flop come per Barbarossa nel 2009. Oltre all'imbarazzo per un tema rischiosamente anti-islamico.
«Barbarossa in Italia non andò bene, ma ci tengo a dire che è stato il film della Rai più venduto all'estero degli ultimi anni. Venne distribuito in Inghilterra, in Canada, in Giappone. La Rai proprio non ci ha perso. Quanto all'anti-islamismo, rispondo come sopra: io amo la storia, e questo mio ultimo film è nato insieme a Il mercante di Pietre. Volevo girarli insieme, addirittura. Se nel Mercante spiegavo a quale livello potesse giungere l'odio dell'integralismo islamico verso l'Occidente, in 11 settembre 1683 vado alla radice, ne spiego le ragioni».
Che sono?
«Quel giorno i turchi avevano 300.000 uomini schierati, certi di vincere contro i nostri 70.000 scarsi. Si sentivano alla vigilia della conquista del mondo cristiano. Volevano erigere una moschea a San Pietro. Le cose andarono diversamente: per loro fu uno shock che produsse un complesso di inferiorità. Non lo dico io, lo dice lo storico Bernard Lewis».
Cosa risponde a chi ha definito il suo film «leghista»?
«Che se chiedi a dieci leghisti chi sia Marco D'Aviano, otto non lo sanno. Che il mio film non è contro nessuno, è solo una carica suonata all'Occidente. L'islam fa il suo mestiere, che è l'islamizzazione.
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