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Pinocchio una favola? Sì, ma crudele

Il romanzo di Collodi, ora rivisto da Garrone, in realtà è ben poco zuccheroso...

Pinocchio una favola? Sì, ma crudele

C'è molto zucchero attorno a Pinocchio, anche a quello cinematografico di Matteo Garrone (che nel giorno di Santo Stefano, per tradizione uno dei più ricchi dell'intero box office italiano, è stato primo al botteghino, sfiorando 1,9 milioni di euro e superando così i 6,5 milioni di incasso complessivi). Colpa di Geppetto Benigni che è un padre universale, come san Giuseppe, almeno queste le parole sue, del premio Oscar. Sarà per Mangiafuoco Proietti, o forse per Papaleo Gatto e Ceccherini Volpe ma il totale è anche presepe (si può dire e scrivere?) natalizio, mettendo insieme favola e racconto e, finalmente, buttando nella differenziata i nuovi inquisitori con le loro fobie di repertorio su insegnamenti pedagogici, varie ed eventuali. Diventano, allora, esemplari i pensieri e le parole di Roberto Mercadini, cesenate, ingegnere elettronico poi informatico e poi attore e scrittore, il quale fa uso dell'ingegno con la parola, l'arte affabulatoria, un narratore teatrale e teatrante, di tutto, dalla Bibbia alla plastica delle cannucce, dal «cultivar di melo» a Pinocchio (stasera e domani sarà al teatro di villa Torlonia a San Mauro Pascoli con lo spettacolo Fuoco nero su Fuoco bianco, magma di parole sulla Bibbia ebraica, e dal 16 al 19 gennaio al teatro Verdi di Milano con Felix, la Felicità secondo Roberto Mercadini). Pinocchio, per l'appunto, preso al volo, per replicare con i fatti, le parole dunque, alle proteste della figlia, Agata, infastidita dalle immagini televisive di opere pittoriche rinascimentali, su tutte la Crocifissione, dunque sangue, mani inchiodate, sofferenza, tragedia, morte, tutta roba non adatta a me, bambina di sei anni. Papà Roberto ha allora rovistato nei ricordi di scuola, Collodi, Pinocchio, così riraccontando. Capitolo XIV: «Metti fuori i denari o sei morto; disse l'assassino più alto di statura. Morto! ripetè l'altro. E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre! Anche tuo padre!. No, no, no, il mio povero babbo no! gridò Pinocchio con accento disperato: ma nel gridare così, gli zecchini gli sonarono in bocca. Ah furfante! dunque i denari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito! E Pinocchio, duro. Ah! tu fai il sordo? Aspetta un po', che penseremo noi a farteli sputare! Difatti uno di loro afferrò il burattino per la punta del naso e quell'altro lo prese per la bazza, e lì cominciarono a tirare screanzatamente uno per in qua l'altro per in là, tanto da costringerlo a spalancare la bocca: ma non ci fu verso. La bocca del burattino pareva inchiodata e ribadita». Oppure, capitolo XV: «... Avvedutosi che il bussare non giovava nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muover punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall'altro mondo: In questa casa non c'è nessuno; sono tutti morti. Aprimi almeno tu! gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi. Sono morta anch'io. Morta? E allora che cosa fai costì alla finestra?. Aspetto la bara che venga a portarmi via. Appena detto così, la Bambina disparve e la finestra si richiuse senza far rumore». E ancora: «... Dunque? gli domandarono gli assassini vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?... Lascia fare: che questa volta te la faremo aprir noi!... E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff e zaff... gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni. Ma il burattino per sua fortuna era fatto d'un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, a guardarsi in faccia. Ho capito; disse allora uno di loro bisogna impiccarlo. Impicchiamolo!. Impicchiamolo ripetè l'altro. Detto fatto gli legarono le mani dietro le spalle, e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande. Poi si posero là, seduti sull'erba, aspettando che il burattino facesse l'ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai. Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando: Addio, a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell'e morto e con la bocca spalancata».

A confronto, dunque, l'ìmmagine di Cristo in croce, con il costato trafitto dalla lancia, è arte dolce e pura e vera, meno crudele di quella storia collodiana e di altre tragedie simili, come Bambi dell'austriaco Felix Salten o la Biancaneve dei Fratelli Grimm: «... vai, porta Biancaneve in un posto lontano nel bosco e pugnalala a morte.

Come prova della sua morte, portami indietro i polmoni e il fegato. Li cucinerò con sale per mangiarli». Testi orribili e sacri, oggi improponibili per una infanzia che ritiene Cristo sulla croce non idoneo alla visione e alla televisione. E vivremo tutti infelici e scontenti.

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