"Populista" sarà lei ma in che senso? Questo non si sa...

La parola resta generica e sfuocata. Al punto che finisce col nascondere problemi reali

"Populista" sarà lei ma in che senso? Questo non si sa...

Un nuovo spettro si aggira sull'Europa e sull'intero mondo occidentale, il populismo. Dopo l'SOS Fascisme, dopo l'SOS Racisme, ora è la volta dell'SOS Populisme e dell'SOS Trumpisme. C'è mancato poco che l'incontro di Coblenza tra i leader della destra europea - Matteo Salvini, Geert Wilders, Francke Petry, Marine Le Pen - venisse descritto dai giornali come una replica della Conferenza di Wannsee dove il 20 gennaio del 1942 si decise la «soluzione finale». «La valanga populista minaccia la vecchia Europa», «La deriva disastrosa del populismo», sono soltanto alcuni dei titoli che si leggono sui quotidiani e sui blog nazionali. Abbiamo persino political scientist che si meravigliano della «strana alleanza tra populismo e nazionalismo»: ormai poco interessati alla storia delle dottrine politiche, non ricordano che, per Maurice Barrès, il leader della destra repubblicana, nazionalismo e socialismo formavano un'endiadi.

È giustificato tanto allarmismo? Davvero Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia hanno stipulato «il patto scellerato contro i diritti?». «Da cinquant'anni non esiste più un regime fascista - scriveva uno dei maggiori storici europei del Novecento, François Furet - eppure l'antifascismo, non è mai stato così forte come oggi». Esso «è stato la grande benedizione e al tempo stesso la grande maschera del comunismo». Oggi si ha l'impressione che l'antipopulismo ne abbia preso il posto, non più per legittimare la coalizione eterogenea che salvò l'Europa dalla barbarie nazionalsocialista, ma per mettere al sicuro le varie componenti dell'establishment (da quella più conservatrice a quella più aperta al nuovo) dalla perdita di poteri e di privilegi. Se i lepenisti o i grillini sono forti al punto di diventare il primo partito, la «minaccia populista» sarà il federatore negativo esterno di una destra conservatrice e di una sinistra aperta al nuovo che senza quel pericolo non avrebbero trovato alcun terreno d'intesa. La natura e le funzioni dell'antipopulismo, come si vede, sono le stesse dell'antifascismo e dell'antirazzismo, anche se non hanno trovato finora analisti del calibro di Pierre-André Taguieff.

Non vorrei essere equivocato, non sto difendendo leader, partiti e movimenti per i quali non ho mai votato (né intendo farlo in futuro), bensì il mio diritto a chiedermi, come lettore di David Hume e di Max Weber: ma che cos'è poi quest'incubo populista che spaventa i benpensanti e i politici «responsabili»? Sul tema c'è una letteratura sterminata come ce n'è sul fascismo, ma, proprio come accade per quest'ultimo, non sembra interessare nessuno, tant'è che, se da un lato un Augusto Pinochet o un Francisco Franco vengono definiti disinvoltamente come «fascisti», dall'altro, figure come Beppe Grillo e l'Uomo Qualunque Guglielmo Giannini sono bollati come populisti.

Facciamo un po' di chiarezza. Populista è un movimento che si forma al di fuori degli istituti e degli attori politici e sociali tradizionali, come i partiti e i sindacati? Se si tratta solo di questo, non si vede il vulnus inferto alla democrazia: i nuovi soggetti che scendono in campo sono i nuovi self made men i quali dimostrano che, come ogni fante napoleonico poteva avere nella sua giberna il bastone di maresciallo, così ogni cittadino elettore può mettersi in proprio, da solo o con altri. Populista, allora, è la qualifica che va data a programmi politici radicali, nel senso forte del termine, a progetti che dissanguano le finanze dello Stato per soddisfare gli appetiti delle «genti meccaniche e di piccolo affare»? Ma se è così, quali partiti sono più populisti di quelli che, con la complicità dei sindacati, hanno governato finora il Paese, hanno causato la voragine del debito pubblico, hanno dissestato scuola, amministrazioni pubbliche, istituti statali e parastatali, magistratura e trasporti? Come non pensare alla casta quando un giornalista, Sergio Rizzo, a Prima pagina ricorda a un radioascoltatore che le Regioni furono istituite per dare al Partito comunista un posto al sole, sia pure locale e non nazionale? In quale Paese civile una riforma dello Stato così importante viene fatta pensando non all'interesse pubblico, ma alla necessità di dare un osso a una formazione politica, il Pci, tanto benemerita nella lotta antifascista? Quanti tuonano contro il «populismo» spesso ne individuano le cause in disfunzioni, in errori, in fenomeni di corruzione così gravi da indurre i lettori a chiedersi: ma se gli agenti patogeni sono questi, possono davvero trovarsi in natura rimedi peggiori di questi mali?

A ben riflettere, molte questioni sollevate dai leader populisti sono quelle classiche che da sempre dividono gli schieramenti e le ideologie politiche: più Stato o meno Stato? Più Europa o meno Europa? Più assistenzialismo o meno assistenzialismo? Difesa delle vecchie «culture» o apertura indiscriminata alle nuove da qualsiasi parte provengano? Rafforzare le frontiere nazionali o pensare, progressivamente, alla cittadinanza universale? Per fare un esempio concreto, i vantaggi e gli svantaggi del rimanere legati al carro comunitario vengono illustrati in totale disaccordo da economisti keynesiani e hayekiani. Significa fare della mera antipolitica trovarsi più d'accordo con l'euroscettico Paolo Savona che con l'eurofilo Vincenzo Visco e pensare che la crisi italiana, coincisa con l'abbandono della lira, non sia una tegola in testa capitata post hoc ma propter hoc? E dovremmo togliere la cittadinanza ai politici che, seguendo l'eccentrico Donald Trump, proclamano: «prima l'Italia», «prima la Francia», «prima la Polonia» e poi tutto il resto?

Al di là dei contenuti, resta lo stile populista indubbiamente volgare - da anchorman di Quinto potere, il film di Sidney Lumet - dei leader dell'antipolitica, restano gli slogan semplicistici, le illusioni diffuse a piene mani che basti qualche provvedimento azzeccato per rimettere in moto la macchina dell'economia. Sennonché l'assurdo reddito di cittadinanza proposto da Beppe Grillo è davvero più irrealistico e sconcertante del «lavorare meno, lavorare tutti», che era l'insegna di un ramo dell'Ulivo, tanto rimpianto da Romano Prodi?

Siamo sinceri, chi ha vissuto negli anni della Prima Repubblica può vedere in leghisti, pentastellati, lepenisti dei veri e propri alieni ma, se si è formato alla severa scuola del liberalismo classico, può aver imparato che, in politica, si danno compromessi (più e meno funzionali), non soluzioni (Bertrand de

Jouvenel), giacché il mondo degli uomini ha a che fare con le nuvole, non con gli orologi (Karl Popper) e, pertanto, i protagonisti del teatrino della politica che meno ci piacciono potrebbero avere più ragione di noi. Forse.

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