È una domanda storica ricorrente: cosa sarebbe successo se i tedeschi, durante la Seconda guerra mondiale, fossero arrivati per primi alla bomba atomica? Inevitabilmente segue un'altra domanda: il premio Nobel Werner Heinseberg ha collaborato con il regime nazista al fine di dotarlo della bomba atomica?
Una risposta, per quanto ipotetica ma documentata, la fornisce lo scrittore francese Jérôme Ferrari, con un romanzo dedicato proprio a Heisenberg e intitolato Il principio (edizioni e/o, pagg. 138, euro 14; in uscita domani). Una lunga lettera, intensa e appassionata, rivolta al fisico tedesco, che non arriva a una soluzione univoca. Proprio come il principio di indeterminazione di Heisenberg: se si conosce la velocità di una particella elementare, non se ne può determinare la posizione, e viceversa. Un dilemma che crucciò un genio assoluto come Albert Einstein per una vita intera, nelle sue lunghe discussioni con Niels Bohr, non potendo accettare una visione dell'universo non deterministica, dove la natura delle cose si regge sulla probabilità quantistica, dove a livello atomico nulla è certo e non valgono più le leggi della fisica newtoniana né della relatività ristretta. Un elettrone si comporta sia come una particella che come un'onda, e può trovarsi in due punti nel medesimo istante. Al riguardo Einstein e Erwin Schrödinger si sbagliavano, e avevano ragione Bohr e Heinseberg.
Di fatto, mentre la maggior parte dei fisici europei, allo scoppio della guerra, si spostò a Londra o negli Stati Uniti, Heinseberg rimase fino all'ultimo chiuso in un laboratorio tedesco, per lavorare ufficialmente alla realizzazione di un motore nucleare. Pur sapendo che quella fonte di energia, una volta messa a punto, sarebbe stata usata da Hitler per scopi bellici. Era un collaborazionista? Che fosse un ingenuo è difficile crederlo. "All'epoca", scrive Ferrari, "il suo amico Carl Friedrich, con infantilismo incredibilmente machiavellico, era convinto che padroneggiare l'energia atomica avrebbe dato agli scienziati potere su Hitler e permesso loro di imprimere agli eventi un corso favorevole. Lo pensava anche lei? Contava di approfittare della sua posizione per preservare la scienza tedesca e tenere lontani dal fronte i suoi rappresentati più giovani e intraprendenti sostenendo che le erano indispensabili? Aveva accettato di dirigere le ricerche per meglio ostacolarle o rallentarle? Un busillis inestricabile".
D'altra parte, in tempo di guerra, non c'è molto da scandalizzarsi. Il progetto Manhattan, che condusse alla costruzione della bomba atomica statunitense e alla distruzione di Hiroshima e Nagasaki, diretto da Robert Oppenheimer, si avvalse della collaborazione dei grandi scienziati emigrati negli Stati Uniti, tra i quali, in prima linea, l'italiano Enrico Fermi, e vi prese parte lo stesso Einstein. Quest'ultimo nel 1939 scrisse una lettera indirizzata al presidente Roosevelt per informarlo della possibilità di sviluppare una bomba dall'enorme capacità distruttiva. Con una scusante: se non ci fossero arrivati gli americani, ci sarebbero arrivati i tedeschi, per merito di Heisenberg.
Non solo in meccanica quantistica è impossibile determinare esattamente la realtà. La Storia, se giudicata con il senno del poi, è molto complicata.
Basti pensare che lo scienziato tedesco Wernher Von Braun, inventore dei famigerati missili V2 lanciati contro Londra, a guerra finita venne catturato e poi assunto dagli americani per costruire il razzo delle missioni Apollo. Senza quel nazista, non saremmo andati sulla luna.
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