Le sagge novelle di Natsume Soseki ci spiegano che cos'è la vita

Le sagge novelle di Natsume Soseki ci spiegano che cos'è la vita

C'era un omino sull'uno e sessanta, uno scrittore, che se ne stava notte e giorno chiuso nella sua stanza. Aveva i baffetti ma non si chiamava Marcel Proust, e la sua memoria possedeva una gittata più corta rispetto a quella del francese, diciamo dell'ordine di cinque-dieci anni. Seduto alla scrivania, pardon di fronte a un kotatsu, un basso tavolino da tè, incurante del mondo esterno, con carta e penna l'omino scattava a posteriori i suoi selfie letterari, anzi sceneggiava le sue «storie» su Instagram. In cui si vedono, ad esempio, lui sperduto a Londra, tra la folla o nella nebbia, mentre cerca di imparare ad andare in bicicletta; lui che studia i movimenti nella gabbia di un uccellino che qualcuno gli ha procurato; lui alle prese con il gravoso compito di garante per il potenziale marito di una lontana parente.

Quell'omino si chiamava Natsume Soseki (1867-1916) ed era ed è il più poliglotta degli scrittori giapponesi. Poliglotta nel senso che padroneggia numerosi idiomi letterari. Nei suoi romanzi, quindi sulla lunga distanza, questo polimorfismo, questo mimetismo, questa varietà di registri narrativi che include ad esempio la citazione-parodia di classici antichi orientali, l'imitazione degli stilemi della tradizione occidentale, l'auto-ironico psicologismo, la poesia in prosa, sono diluiti nelle trame. Invece nei racconti brevi tale trasformismo emerge fino a essere il vero protagonista della narrazione. Stiamo parlando di quelli che in giapponese si chiamano shonin, cioè «piccole opere», composizioni che mixano la novella e il saggio. Ne abbiamo letti 25 l'anno scorso nella raccolta Piccoli racconti di un'infinita giornata di primavera, pubblicata da Lindau, ed ora lo stesso editore ce ne propone altri tre in Il diario della bicicletta e altri racconti (pagg. 95, euro 12, traduzione, come per il precedente volume, di Muto Tamayo, da oggi nelle librerie).

Ed ecco qui Il diario della bicicletta che nell'autunno del 1902 Soseki, durante il soggiorno inglese, fu quasi costretto da un amico a inforcare, per uscire dalla camera dov'era a pensione. L'esaurimento nervoso era infatti la sua unica compagnia. Ma pedalare a fatica sotto lo sguardo divertito di un policeman non fa che aggravare la situazione. Ecco nove anni dopo, a Tokyo, La lettera in cui vanno a parare i maneggi dalle tinte un po' gialle del Nostro per certificare, in qualità di «zio» acquisito, l'affidabilità di un promesso sposo. Ecco, soprattutto, la sottile dialettica che lega l'autore al Fringuello di Giava.

Il modo in cui l'uccellino incassa la testa fra le spalle o sbatte le palpebre evoca in Soseki un vecchio amore che, come il piccolo volatile, colpevolmente trascurato, muore. «Piccole opere» come quest'ultima fanno di Soseki un grande scrittore.

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