Se la scuola abolisce gli esami e restano solo i sentimenti...

Ecco i racconti "perduti" di Sebastiano Vassalli: un ritratto sarcastico della nostra società (e dell'istruzione post '68)

Se la scuola abolisce gli esami e restano solo i sentimenti...

A me m'hanno promosso l'anno scorso. M'hanno fatto ragioniere (puh). Col minimo dei voti perché io rifiuto il nozionismo e gli esami vorrei che fossero diversi, senza gli scritti e gli orali e le domande tipo quiz, chi è l'autore dello Zibaldone? Cos'è la termodinamica? Chi ha detto «Bruto, figlio mio»? Secondo me i professori devono verificare la maturità del cosiddetto candidato studiandone i comportamenti anche fuori dell'ambiente scolastico, cercando di capirlo, di proteggerlo, di aiutarlo in ogni circostanza e sempre.

Tanto per non fare tutti uguali si potrebbe istituire una maturità a tre livelli, con il maturo di prima categoria che continua a studiare a spese dello Stato, il maturo di seconda che ottiene subito un impiego secondo le sue personali esigenze e il maturo di terza che va a pulire i cessi o a vendere la sigarette di contrabbando perché anche questi sono mestieri importanti, in una società civile ci devono essere il contadino, il facchino, il cameriere, l'operaio. Il poliziotto e il contrabbandiere. I mestieri devono essere tutti rappresentati e l'esame di maturità può servire appunto a smistare i giovani come la visita di leva: te fai l'ingegnere e te l'attore. Te fai l'elettricista e te il cuoco.

Invece il mio esame è stato una cosa stupidissima, col prof. Tupino di matematica che essendo balbuziente ha cominciato a dire fammi questa equa a-zione. Scri-ivi. Dunque lui balbettando a tutta forza m'ha dettato la sua equa-azione ma io le eque-azioni non le so fare, non mi interessano e alla fine gliel'ho anche detto cioè ho detto: «Rifiuto questo esame nozionistico». «A cosa servono le equazioni»? «Voglio dimostrare la mia maturità reale» mentre il Tupino insisteva: «Se-sei ma-maaturo fai l'equa a-zione». Alla fine è intervenuto il presidente cioè il preside della commissione esaminatrice per chiedermi: «Ma lei è proprio convinto di essere maturo»? Sì. Mi sono alzato in piedi: Ho risposto: «Signor preside della commissione» (l'ho chiamato signor preside della commissione per fargli capire che riconoscevo le gerarchie, rispetto le istituzioni eccetera. Che non sono un sovversivo, io). «La ringrazio per questa domanda che mi dà modo di chiarire la mia posizione nei confronti della matematica e degli esami» e intanto che parlavo pensavo, qual è la mia posizione nei confronti della matematica e degli esami» Ah, ecco; «Noi stiamo qui a fare le equazioni e ogni anno nel mondo milioni di persone muoiono di fame», bum. La vita è dura, ragazzi. E l'esperienza insegna che gli esami si possono anche sbarcare citando i morti di fame oppure i drogati, i disoccupati, i terremotati, i carcerati, i falliti (perché i prof, generalmente sono dei poveretti che se gli parli di cose grosse si spaventano). Dunque io per essere più sicuro li ho citati tutti e poi ho citato me stesso cioè il mio componimento di italiano dove già avevo sviscerato le problematiche dei disgraziati in genere e specificamente quelle degli handicappati perché l'anno scorso era l'anno mondiale dell'handicappato ma la prof, di italiano s'è messa a starnazzare che ero andato fuori tema, che dovevo parlare del Foscolo oppure di Manzoni, ah sì? Ho risposto «Tanto peggio per il tema» e il preside mi ha dato sulla voce: «Come si permette». «Stia zitto».

Ho smesso quando il preside mi ha chiesto: «Si può sapere in che cosa consiste la sua maturità»? Con una faccia da sfottere che lo faceva sembrare quasi furbo! «Abbia la compiacenza di spiegarsi». Ho detto: «Nella consapevolezza dei problemi» e sono rimasto stupito io stesso per la precisione di quella risposta. Che bella frase. Accidenti. Chissà come aveva fatto a venirmi in mente.

Ho visto che i proff guardavano il preside e che lui guardava me aspettando il seguito del discorso allora ho pensato «Se la metto sui nobili sentimenti forse ce la faccio», dai. Perché la scuola italiana non può reprimere un'esibizione di nobili sentimenti fatta da un giovane. È evidente. Non può bocciare se stessa. Può calpestare l'handicappato e l'orfano ma non l'eterna retorica di cui è depositaria, nei secoli, e dunque ho cominciato il mio discorso citando il presidente Pertini («Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai»). Il Papa. La Costituzione della Repubblica Italiana («democratica» e «fondata sul lavoro»). Ho detto che la pace e il lavoro sono i beni più preziosi per l'uomo e che il lavoro prima di essere un dovere è innanzitutto un diritto. Ho aggiunto: che senza lavoro non c'è libertà e dopo un attimo di silenzio mi sono chiesto: «Ma la libertà può sussistere là dove non c'è la democrazia»? Giammai. Ho detto: «Noi che possediamo la libertà abbiamo anche il dovere di mantenerla». «Di difenderla» ecc. Guardando i prof che mi stavano davanti. Ho visto che il Tupino mi fissava con la bocca spalancata mentre la prof di italiano strizzava gli occhi come una civetta al sole così li ho interrogati per verificare le loro reazioni, ho chiesto: «Volete che parlo dei problemi del Mezzogiorno»? La risposta è stata un gemito collettivo («No»).

Poi l'equa-azione me l'hanno fatta loro promuovendomi ragioniere per i seguenti motivi trascritti nel diploma: «Sa esprimersi con proprietà e disinvoltura manifestando apprezzabili doti di sensibilità alle problematiche sociali e anche notevole scaltrezza nella conduzione del colloquio. Non rivelò attitudine per il proseguimento degli studi».

Invece io, senza falsa modestia, credo di aver attitudine per proseguire qualunque cosa e per arrivare dappertutto, come diceva quel tale? A proposito del venire da lontano e dell'andare lontano. Io arriverò lontanissimo.

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