Dopo cinque film «su» Psycho, ecco un film «intorno» a Psycho. Ma il «dietro il set» del capolavoro di sir Alfred non è un giallo-thriller-noir: è una commedia brillante, se non proprio una love story. Nulla di pruriginoso, però. Tutti sanno che il grande regista aveva un debole per le bellissime del suo harem di celluloide: bionde, sexy, eleganti, aristocratiche e arrapanti, fasciate nei tailleur e sgambettanti sui tacchi a spillo. Tuttavia la passione del Maestro per le varie Grace Kelly, Kim Novak, Tippi Hedren, Doris Day, Eve Marie Saint e compagnia seducendo era esclusivamente platonica. Per lui quel ben di dio era l'incarnazione di un'idea: l'idea di donna. Mentre di Donna con la maiuscola ne ebbe una sola, la consorte Alma Reville.
Ed è proprio lei, più giovane di Hitch di un solo giorno, essendo nata a Nottingham il 4 agosto 1899, l'incontrastata regina del positivo esordio alla regia di Sacha Gervasi, il quale per il suo Hitchcock, dal 4 aprile nelle sale italiane, ha ben scelto, oltre agli impeccabili interpreti Helen Mirren e Anthony Hopkins, il punto dove «mettere il dito» fra moglie e marito. Nel 1960, il divin pancione londinese aveva già diretto 47 film, dei quali 23 scodellati nella Mecca del cinema, Hollywood. Quarantasette figli, oltre all'unica figlia femmina, Patricia, nata a Londra nel '28, che hanno anche una madre, non soltanto un padre. Ed è questa la chiave di lettura del film di Gervasi. Quando sir Alfred (un Hopkins che sarebbe perfetto se avesse la testa più a pera, il naso meno schiacciato e il labbro inferiore più cadente) decide di lavorare alla trasposizione del romanzo di Robert Bloch, la sua signora (una Mirren più carina dell'originale ma altrettanto energica e dominante) oppone un'ironica resistenza, molto british e soprattutto molto pratica. «Doris Day dovrebbe farne un musical», commenta sarcastica a proposito della poi celeberrima scena dell'accoltellamento sotto la doccia. Un po' di gelosia non guasta, nella vita di coppia... Quel che guasta, nel caso specifico, è il controllo preventivo della censura: in fondo si tratta di uno psicopatico omosessuale e dall'Edipo irrisolto che colleziona cadaveri di donna, obiettano i bacchettatori... Altro che Intrigo internazionale, qui si rischia la messa al bando mondiale, mormorano alcuni stretti collaboratori di Hitch. E poi Alma, stanca di vivere di luce riflessa, spinge per un altro plot completamente diverso, buttato giù da uno scribacchino di seconda fila il quale, fra un passaggio in macchina, un sorriso da rubacuori attempato e un aperitivo, la fa finalmente sentire come una di quelle bionde agitatrici di testosterone tanto care al suo maritone...
La crisi coniugale cova sotto la cenere, anche perché quello zuccone, di fronte alle perplessità della Paramount, cala il jolly: me lo pago io il film, ecco qua un assegno da 800mila dollari. E, rivolto ad Alma: ora dovremo stringere la cinghia (detto da lui poi...). Quando però lei scopre che lo scribacchino non è propriamente un gentiluomo alla Cary Grant, torna subito in sé: va bene, mio marito sarà anche un sacco di lardo che s'impunta come un mulo, ma resta un genio; con qualche accorgimento qua e là Psycho andrà in porto. Intanto la tremebonda Janet Leigh, alla quale dà voce e soprattutto corpo un'appetitosa Scarlett Johansson, ha già fatto il suo, veramente terrorizzata dai fendenti mimati con realistico istinto omicida dal regista: il climax «de paura» è in cascina, bisogna costruirci intorno i calando e i crescendo.
Buoni ed efficaci, in particolare, due strumenti narrativi del film: le visite alla psiche turbata del regista fatte da Ed Gein (Michael Wincott), il vero serial killer che ispirò Bloch, e il rapporto sottotraccia fra Hitch e Vera Miles (Jessica Biel), probabilmente l'unica al mondo che avrebbe potuto insidiare la leadership di Alma nel cuore di sir Alfred. Così non fu. Per fortuna, altrimenti avremmo visto tutto un altro film. E avremmo avuto tutto un altro Hitchcock.
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