Una volta un conoscente mi ha chiesto che letteratura mai sarebbe se la si deprivasse di romanzi. La mia risposta, certo istintiva, è stata fargli notare che una letteratura senza romanzi c'è stata eccome, una letteratura più che mai viva. Ci capita addirittura di leggere i secoli trascorsi coi nomi dei poeti: il Duecento di Cavalcanti; poi Dante coi piedi in due ere (quella precedente e quella successiva alla sua venuta lui che i secoli li contiene tutti); il Trecento di Petrarca; il Quattrocento di Pulci; il Cinquecento di Tasso e Ariosto e così via. Senza voler compiere una schematizzazione troppo accademica o scolastica e con troppo spirito risorgimentale e desanctisiano , dico solo che il romanzo, qui da noi, ha una storia relativamente recente.
Camillo Langone è evidentemente consapevole dell'importanza che nella nostra tradizione ha avuto la poesia. Ho detto tradizione, ma bisognerebbe parlare di tradizioni, tanto la nostra storia è parcellizzata in ogni suo territorio, in ogni sua area geografica (ogni luogo ha, o ha avuto una sua lingua prima ancora di un dialetto o di un gergo o una cadenza e sarà forse questa parcellizzazione ad aver determinato la nostra più consueta forma espressiva, appunto la poesia?). Lo si capisce bene in questa antologia di poeti contemporanei (104 per la precisione) che ha messo insieme (Come sei bella. Viaggio poetico in Italia, Aliberti, pagg. 198, euro 15), partendo da una domanda semplice ma necessaria: «Chissà se oggi è possibile scrivere una poesia non turistica e però innamorata dei luoghi». E che la poesia abbia espresso meglio di qualsiasi guida turistica le nostre città, i nostri paesi e borghi, è fuori di dubbio. Ma va pure notato quanto gli stessi luoghi siano stati poi altrettanto determinanti per comprendere il carattere, per così dire, dei singoli poeti. Senza scomodare il rapporto di Dante con Firenze, basterebbe ricordare esempi più recenti. Infatti, come potremmo capire Pasolini senza sapere non tanto delle borgate romane, ma della sua Casarsa e dei suoi versi friulani da cui tutto nasce e determina l'opera futura (determinandone, a ben vedere, pure l'ideologia)? O ancora la Trieste di Saba, e la Torino (e la vicina Aglié) di Gozzano. Gli esempi sono innumerevoli.
Il pregio e l'importanza di questa antologia, nata sulle pagine domenicali de il Giornale, vanno quindi trovati nella scommessa che Langone ha fatto compiere ai suoi poeti, chiedendogli di farsi viaggiatori, anche, ma non solo, nei propri luoghi, di farci vedere coi loro occhi questa nostra Patria sempre vilipesa ma disperatamente amata.
Qui troviamo, e mi limito appena a qualche esempio tra i molti che potrei fare, in un componimento di Lauretano, un paesaggio spirituale, la luce romagnola che assomiglia alla luce del Paradiso, come fosse la traccia di una casa che si vuole ritrovare anche nell'aldilà. O la visionarietà simbolica dei versi di Davide Brullo sul Lago Maggiore, in cui «gli aironi strappano l'acqua come se fosse pane». O l'Isola d'Elba di Damiani, raccontata nelle sue pietre che non sono che pietre, se le parole che le fanno essere sono capaci di nominarle. Poi Aurelio Picca, lui di Velletri ha però nel corpo scolpito il sangue dell'intero stivale. Infatti qui non è a casa sua, e nemmeno nella vicina capitale, ma in Toscana, a Volterra, dove prega davanti alla Deposizione del Rosso Fiorentino. Davide Rondoni che nella Forlì annunciata a una stazione ferroviaria, racconta ancora la sua spiritualità sempre vissuta come un'azione, con una concretezza e passione tutte esperienziali. Stefano Simoncelli, che da un paese sopra Cesena ci dice del suo sguardo laterale sulle cose, il suo confinamento, la sua solitudine che è di luoghi come di indole, quel mondo che, nella memoria, a volte custodisce, altre si fa esplodere dentro.
E la Sanremo di Conte, che è un «bianchissimo ricamo», «carezzevole e volgare», e che ha fatto nascere una poesia ispiratissima.Sì, l'Italia è di chi l'ama. E se troppo spesso lo dimentichiamo questa antologia ce lo vuole incidere in petto come la cicatrice di una croce.
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