Lo "sviluppo" è un mito della modernità. E nasconde la fragilità delle vicende umane

Un piccolo classico che spazia da Aristotele al marxismo fino allo scientismo

Lo "sviluppo" è un mito della modernità.  E nasconde la fragilità delle vicende umane

La ricerca di Robert Nisbet dal titolo Storia e cambiamento sociale. Il concetto di sviluppo nella tradizione occidentale è un testo davvero affascinante. Scritto mezzo secolo fa e ora tradotto per le edizioni IBL Libri (pagg. 334, euro 22), questo volume del sociologo americano indaga una metafora cruciale, quella di «sviluppo», lungo l'intero corso della storia europea.

Per Nisbet, fin dai suoi inizi la nostra civiltà si basa su una nozione ricavata dalla biologia, quella di «crescita», e trasferita, però, nell'ambito dei rapporti umani. Come una pianta nasce, si sviluppa e infine si spegne (consegnando questa dimensione ciclica ai semi che ha generato), lo stesso avverrebbe per le società. Da oltre duemila anni, insomma, sembriamo incapaci di guardare ai cambiamenti storici senza appoggiarsi a questa nozione di matrice essenzialmente organica. Lo studioso ci aiuta quindi a cogliere come quella dello sviluppo sia una categoria che domina il nostro modo di ragionare al di là delle distinzioni e delle contrapposizioni, e anche oltre le molte differenti ideologie. L'idea di crescita ha segnato la visione greca basata sul ciclo, quella cristiana fondata sulla necessità della Salvezza, quella variamente storicista che fa immanente il Dio cristiano e promette il Paradiso in terra.

Nella metafora dello sviluppo Nisbet ha individuato un elemento essenziale - anche se spesso sottostimato - dell'intera vicenda occidentale. Per giunta, l'analisi di questo acuto pensatore conservatore è descrittiva e prescrittiva al tempo stesso, dato che nella critica al mito della crescita c'è anche - come sottolinea Sergio Belardinelli nella sua prefazione - una «lucida volontà di riabilitare in qualche modo l'imprevedibilità, la contingenza, l'unicità, l'indeterminabilità dei fenomeni sociali». Gli uomini non amano l'incertezza, ma la storia è anche un incontro di volontà e quindi si delinea secondo logiche che non possono essere prefissate. Le culture che hanno segnato l'Occidente hanno in vario modo cercato di esorcizzare il futuro, ma non è detto che abbiano avuto successo.

Il testo è, innanzi tutto, una bellissima ricostruzione della nostra storia intellettuale, vista a partire da questa particolare prospettiva. Muovendo dalle speculazioni aristoteliche su «potenza» e «atto» per giungere fino al materialismo dialettico di Marx e allo scientismo novecentesco, l'autore ci introduce a visioni del mondo che, in vario modo, ridisegnano lo scenario dei nostri archetipi. Ed egli ci spinge a vedere come sotto certi aspetti l'uomo occidentale continui a essere simile a se stesso.

Con questo suo studio, Nisbet ha però soprattutto lanciato una sfida.

Egli ha voluto sottolineare come l'idea di uno sviluppo necessario possa essere talvolta rassicurante, ma spesso distorca la realtà, dato che i fenomeni sociali dipendono in larga misura da fatti contingenti, da scelte imprevedibili e, infine, dall'imprevedibile combinarsi di innumerevoli e minuscoli avvenimenti.

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