In questo Attila molto acclamato, uno degli applausi più convinti e significativi è partito quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è apparso nel palco reale della Scala di Milano. La platea lo attendeva in piedi da circa cinque minuti. Difficile non attribuire a questo lungo applauso un significato politico: il pubblico si rivolge al simbolo dell'unità d'Italia in un momento di grande incertezza. Subito dopo l'orchestra diretta da Riccardo Chailly ha intonato l'inno nazionale, invitando il pubblico a cantare. Un inaspettato patriottismo è stato il filo conduttore della «Prima». Fuori i centri sociali fanno casino, i manifestanti andrebbero invitati a vedere Attila per ascoltare cosa Verdi, al loro confronto un rivoluzionario, ha ancora da dirci.
Il Prologo si apre con i vincitori, gli Unni, che invocano guerra, sangue e rovine; e si chiude con gli sconfitti, gli eremiti che pregano Dio e l'esule Foresto che canta le lodi della patria perduta. Quale patria è subito chiaro: entra in scena il tricolore, sventolato in più d'una occasione. Attila si rivela un'opera perfetta per inaugurare la stagione della Scala. La «Prima» si trova in casuale ma piena sintonia con il periodo nel quale viviamo, segnato dalla nostalgia delle nazioni come risposta all'invadente globalizzazione e alle incomprensibili istituzioni europee. È mancato il colpo d'occhio del nuovo potere giallo-verde, che ha lasciato la scena al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, al sindaco di Milano Beppe Sala e al governatore Attilio Fontana. Non ci sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Poco nutrita la compagine governativa, è formata dai ministri dei Beni culturali Alberto Bonisoli e dell'economia Giovanni Tria.
Attila è specchio dell'interesse di Verdi e di un'epoca intera per il Medioevo come radice (violenta) dell'identità nazionale, che nasce dallo scontro, e non dall'integrazione, tra «barbari» ed eredi della civiltà romana. Attila dunque è un'opera in cui il popolo italiano, che ancora non esisteva, volle vedere soprattutto le allusioni alla lotta per l'indipendenza. Il patriottismo di Attila è addirittura messianico, al punto che la libertà della nazione è suggellata dall'intervento del Papa in persona. Del resto l'elezione di Pio IX, nel 1846, aveva alimentato le speranze di poter creare una confederazione di Stati sotto la guida simbolica del Papa. Illusione destinata a durare poco. Il pubblico contemporaneo a Verdi piegò tutta l'opera a questa lettura. La protagonista femminile, Odabella, diventa subito una intrepida donna italica, anche se si rivelerà ambigua, a dir poco. Le cronache raccontano che gli applausi sottolineavano perfino il momento in cui il romano Ezio propone ad Attila di dividersi il mondo senza ulteriori scontri. In realtà è il momento più realpolitik dell'opera, Ezio non ci fa una gran figura, al contrario di Attila che sdegnato rifiuta, ma il pubblico esplodeva in applausi perché Ezio parlava di Italia, quell'Italia tanto agognata: «Avrai tu l'universo / resti l'Italia a me». Attila sarà anche passato alla storia come il flagello di Dio, ma in Verdi è piuttosto un soldato di valore che merita rispetto e ottiene tradimento.
Tutto questo è sfumato dalla regia più tecnologica che ideologica. Le uniformi che alludono agli anni venti-quaranta «diluiscono» l'idea di Verdi, che era un'idea forte, proiettandola in un mondo distopico suggestivo ma un po' generico. Proprio quel «generico» che Verdi desiderava evitare, come dimostra il suo epistolario: il perfezionismo dei vestiti e degli oggetti era essenziale per contrapporre eredi dei romani a barbari invasori. Detto questo, l'opera è assai bella sul piano visivo e non solo nelle scene corali. Suggestivo il ponte spezzato che divide Attila ed Ezio. Spettacolare l'ingresso del Re degli Unni e del Papa a cavallo. Ma il regista David Livermore ha dato profondità e un cupo splendore alla scena soprattutto utilizzando effetti speciali cinematografici, che riproducono, di volta in volta, una città distrutta dai bombardamenti, il ricordo di uno dei protagonisti, un cielo che promette tempesta.
Il musicologo Massimo Mila archiviava Attila nella scherzosa O.R.O.V.A., Organizzazione Recupero Opere di Verdi Avariate. Da collocarsi accanto alle altre Opere giovanili di Verdi. Ma proprio il lavoro di Recupero della Scala di Pereira-Chailly dimostra che le Opere giovanili (al debutto di Attila, Verdi aveva 33 anni e 9 spettacoli alle spalle) non sono poi così Avariate. La prima assoluta di Attila fu alla Fenice di Venezia, il 17 marzo 1846. L'anno seguente l'opera fu un successo a Milano dove aprì la stagione di carnevale della Scala. Quell'anno ebbe 31 rappresentazioni. Come osserva Armando Torno, Attila «resta l'opera più fortunata e più ripresa nei due anni che precedono le Cinque Giornate (18-22 marzo 1848)». Il 26 dicembre 1849 tornò a inaugurare la stagione.
All'epoca non
esisteva il politicamente corretto, andava più di moda il patriottismo. Ma forse oggi Verdi se la vedrebbe brutta e sarebbe accusato di «sovranismo», qualunque cosa significhi questa espressione nella testa di chi la usa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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