La questione Pereira non è risolta. Il melodramma scaligero si arricchisce di un nuovo atto. Il caso scoppiato in Scala, rimbalzato al Ministero e tornato al mittente, rimbalza a Alexander Pereira stesso: il sovrintendente designato artefice di operazioni non gradite e dunque messo alla berlina. Sarà lui a decidere se accettare le nuove condizioni imposte dal Cda scaligero di ieri.
Se vorrà guidare il management della Scala, dovrà rispettare ferrei parametri. Uno: a fronte di un contratto quinquennale che sarebbe scattato dall'ottobre 2014, gli si chiede di dare le dimissioni a partire dal gennaio 2016 «con l'impegno di non sollevare alcun contenzioso», chiarisce Giuliano Pisapia, sindaco di Milano e presidente del Cda. Ovvero si chiede a Pereira di essere operativo fino al dicembre 2015 con possibilità, comunque, di rinnovo del contratto. Perché 2015? Poiché da quel momento, secondo la legge Bray, la nomina di un sovrintendente sarà competenza del Ministero dei Beni culturali, e comunque è opportuno assicurarsi un sovrintendente che per la stagione scaligera Expo. Seconda condizione. «Ogni sua futura spesa, compresi i contratti con artisti - continua Pisapia - deve essere approvata dal cda.
Questa, al momento, è stata «l'unica soluzione possibile», spiega il sindaco che dalla sua parte ha un Cda spaccato fra pro e contro ma che ieri ha deciso a maggioranza, con il solo voto contrario di Tagliabue in rappresentanza della Regione.
Pereira è stato accusato di aver acquistato quattro opere, per la Scala dal festival di Salisburgo che dirige. Conflitto di interessi: accuse, scandali, imbarazzi. Ieri Pisapia ha provato a fugare tutte le ombre attorno al clamoroso passo falso, e ha parlato a lungo della cosa. Ma la situazione, anche alla luce della decisione-compromesso del cda, non è ancora del tutto chiara.
Ora, però, il punto è un altro. Pereira accetterà le condizioni capestro cui lo hanno messo di fronte? Chissà, la risposta del sovrintendente incaricato dovrebbe arrivare entro questa settimana, auspica un imbarazzato Pisapia. Che ha spiegato che «la scelta fatta era l'unica possibile e praticabile». Pereira, comunque, come ha dovuto ammettere il sindaco Pisapia, «è andato oltre i propri poteri», «anche se si è impegnato con forza e passione per fare una stagione 2014-15 ad alto livello. Cosa che era prevista dal suo contratto. Ha sbagliato e ha chiesto scusa, ma le scuse non potevano essere sufficienti». È stato poi sentito Riccardo Chailly, direttore che dal prossimo gennaio lavorerà al fianco di Pereira e che molto probabilmente lascerebbe la Scala se silurassero Pereira. L'inghippo sta nello strano ruolo del manager, designato consulente senza diritto di firma, con la sola possibilità «di avviare contatti con gli artisti». Contatti che per un manager decisionista spinto dall'urgenza di metter su le stagioni sono diventati lettere di intenti. Praticamente gli si è chiesto di lavorare a scarto ridotto in un settore dove le stagioni si programmano con anni d anticipo.
La soluzione all'italiana (sovrintendenza a scadenza) trova l'avallo di un avvocato del lavoro che ha ricordato che «l'allontanamento di Pereira avrebbe dato adito a un contenzioso e dunque a tempi lunghi», il rischio era/sarebbe quello di vedersi la Scala immersa in una battaglia giudiziaria proprio nel 2015. «Dal punto di vista giuridico, per un licenziamento in tronco deve esserci una giusta causa o gravi motivi».
Pereira sostiene che Lissner abbia firmato contratti. La presidente del festival di Salisburgo dà ragione al manager e dice che lui ha acquistato quattro opere, appunto le incriminate, ma assicura che «non ci sono accordi scritti o verbali su altre opere». Aggiungendo che «la proposta di vendita di Salisburgo era più alta», ma Pereira ha spuntato prezzi più bassi senza reclamare percentuali.
Lissner però smentisce di aver firmato alcun accordo, come invece dice Pereira. «In caso di giudizio.
Il solito grande pasticcio, in cui escono tutti con le ossa rotte. E a pagarne le conseguenze per ora è solo il buon nome della Scala.
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