Vasco spiegato da Vasco Il lato segreto e intimo delle canzoni che fanno la sua storia

Vasco spiegato da Vasco Il lato segreto e intimo delle canzoni che fanno  la sua storia

Paolo Giordano

Un Vasco così non si era mai letto. Proprio alla vigilia del suo concerto Modena Park del primo luglio, una sola serata per celebrare tutta la carriera, oggi esce per Mondadori XL, 40 anni di canzoni (con i miei commenti). Raccoglie i 176 testi che Vasco ha scritto nella sua obiettivamente inimitabile carriera. Non sono tantissimi ma sono unici perché Vasco ha la dote rara di riassumere stati d'animo generazionali in pochi versi, mescolando intuizioni fulminanti con scelte linguistiche forse inconsapevoli ma di originalità luminosa. E, soprattutto, Vasco è quello che canta, non parla di un personaggio di comodo, magari ritagliato su misura seguendo lo specchio dei tempi, ma è sempre autobiografico sia su disco che nei 780 concerti che ha tenuto finora.

E si capisce dalle note che ha scritto a margine di ciascun testo. Uno dopo l'altro. Perciò, oltre all'inedita «lectio» su Siamo solo noi trascritta dopo un incontro con i fan, nel ponderoso volume di oltre cinquecento pagine, e dopo la prefazione del suo «angelo custode» Tania Sachs responsabile della comunicazione, ci sono i suoi pensieri oggi, una autentica guida a capire il Vascopensiero. Ad esempio Albachiara, dal 1984 il pezzo conclusivo di ogni suo concerto: «Dalla finestra di casa mia, durante le lunghe e noiose ore di studio, vedevo una ragazzina scendere dalla corriera e... coi libri di scuola avviarsi verso casa». Oppure Vado al massimo del 1982: «Scherzavamo sui nostri amici che erano andati in vacanza in Messico, mentre noi due (Vasco e Floriano Fini - ndr) eravamo rimasti a Zocca. Io cantavo: Vado in Messico... e a un certo punto lui se ne esce con Vado al massimo. A quel punto mi fu tutto chiaro: Vado al massimo, vado a gonfie vele. Ero nella merda fino al collo e gli orizzonti tanto agognati erano ancora molto lontani». Sono gli anni in cui Vasco diventa davvero un paradigma. Del rock italiano. E di tutto ciò che allora ne conseguiva: eccessi, perdizione, provocazioni politiche con il cosiddetto sistema. Insomma, una Vita spericolata, brano contenuto in Bollicine del 1983: «Ho affrontato il tema che in quel periodo affliggeva tutti: la paura di una vita piatta, tranquilla, priva di emozioni. P.S.: quando parlavo di Roxy Bar, pensavo a un'altra vita».

Per capirci, in quella fase degli anni Ottanta Vasco è stato decisivo per sganciare la musica popolare dal manierismo dei cantautori (che peraltro sono stati il suo primo punto di ispirazione) e aiutarla a resistere all'invasione anglosassone con una cifra propria e riconoscibile. Più rock o più cantautorale, Vasco è sempre immediatamente riconoscibile non soltanto creando slogan come «Siamo solo noi» ma identificando una categoria di ascoltatori ben precisa che, in quel momento, non era rappresentata in classifica.

In poche parole, C'è chi dice no: «Un urlo per affermare la propria individualità - scrive Vasco - e non lasciarsi convincere da un sistema in cui vincono i più furbi. Erano gli anni Ottanta, gli anni degli yuppies, delle esagerazioni e dell'arroganza. A me non stava affatto bene!». Liberi, liberi, insomma. Ma Vasco è anche un clamoroso «aggregatore» di consensi disegnando profili di donna come pochi altri hanno saputo fare. «Sally l'ho scritta di getto, una mattina all'alba. Ero sulla barca di un amico, a Saint-Tropez. Ero andato in un locale pieno di gente, di vita, di donne bellissime. Mi ero innamorato di tutte... ma all'uscita ero di nuovo solo. Con quella eccitazione addosso, mi sfogai sulla chitarra mentre l'amante del mio amico se ne andava e il sole sorgeva (...). Era la sua segretaria, sarebbe diventata in seguito sua moglie. Sembrava il prototipo della donna sconfitta che però se la cava sempre con la sua intelligenza... A dire il vero stavo parlando di me».

E così, dopo la vampata degli Spari sopra e lo sbarco negli stadi, a metà anni Novanta Vasco Rossi è finalmente completo. Un rocker poetico e dilaniato, l'alfiere di uno «sturm und Vasco» rimasto inimitabile ma seguitissimo. E oggi, dopo aver ammesso che Vivere non è facile (da Vivere o niente del 2011) e di «essere innocente ma...

» (da Sono innocente del 2014), può permettersi piccoli racconti intimisti (Come nelle favole, che ora va forte in radio) ma anche divagazioni impegnative che mescolano radici letterarie e linguistiche di inizio Novecento con visioni future: «In Manifesto futurista della nuova umanità racconto in un modo ironico la preoccupazione dell'uomo moderno che è solo, privato della sua grande illusione».

A dirla tutta, in XL c'è la filigrana di Vasco, il detonatore che decennio dopo decennio lo ha portato, oggi a 65 anni, a rimanere rock per impossibilità di essere altro.

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