Wenders gira un film che esalta il Papa: "Per me Francesco è un eroe dell'umanità"

Il 4 ottobre uscirà Un uomo di parola: "Senza cinema avrei fatto il prete"

Wenders gira un film che esalta il Papa: "Per me Francesco è un eroe dell'umanità"

Wim, l'uomo che voleva farsi prete. Ma poi è arrivato il '68, col cinema e il rock'n'roll e lui ha preferito usare i film per i discorsi etici. «Sono cresciuto da cattolico, in una famiglia cattolica. E a 16 anni ho desiderato diventare prete. Quando sei giovane, immagini un certo numero di professioni: conoscevo bravi insegnanti e desideravo insegnare; conoscevo bravi preti e volevo farmi prete. Poi sono arrivati i film e il rock'n'roll e ho lasciato la chiesa a 23 anni, in piena rivoluzione studentesca», rivela Wim Wenders il regista de Il cielo sopra Berlino, ieri a Roma per il lancio di Papa Francesco. Un uomo di parola (dal 4 al 7 ottobre, evento speciale targato Universal). Un interessante docufilm, tra biografia ed esegesi del pontificato Bergoglio, così laudativo da apparire papista negli intenti.

Perché il papa più pop che la Chiesa conosca, così attento alla comunicazione mediatica, dove fa centro con i suoi «Buonasera!» e «Avete portato l'ombrello?» rivolti a masse adoranti, viene presentato come un personaggio carismatico, al di sopra di ogni sospetto terreno. Un uomo semplicemente straordinario, che abbraccia i diseredati delle favelas brasiliane e di Scampia, che ti guarda negli occhi e pone domande universali non eludibili.

«Dell'educazione cattolica non ci si libera mai, ma certo non possono accusarmi d'essere papista. Quando ho accettato di girare il film, volevo esser certo che il Vaticano sapesse d'aver assunto un cristiano ecumenico», precisa il cineasta, camicia alla coreana abbottonata fin sotto al mento e sguardo profondo: non si è fatto prete, ma ha una laurea in Teologia e tutte le sere legge la Bibbia, insieme alla moglie Donata.

Ma chi ha avuto l'idea di affidare a Wenders un lavoro così delicato, dove si alternano immagini in bianco e nero, stile anni Venti, con San Francesco nei campi, e prezioso materiale d'archivio su Papa Bergoglio? «Nel 2013 mi è arrivata una telefonata dal segretario della Comunicazione del Vaticano. Si trattava di un'occasione irripetibile: sono rimasto affascinato da Papa Francesco dal giorno in cui è stato eletto. Mi ha entusiasmato la sua scelta del nome, visto che, per me, San Francesco è uno dei grandi eroi dell'umanità. Ho considerato tale offerta un dono, che mi consentiva di avvicinare quest'uomo coraggioso. Questo è il Papa che serve al XXI secolo», racconta il tre volte candidato all'Oscar (Il sale della terra, Pina 3D, Buena Vista Social Club). Il regista berlinese ha avuto carta bianca da subito. Così bianca da risultare problematica. «Vi aspettate che faccia un film per un pubblico cattolico?», ho chiesto a monsignor Dario Viganò, quando mi ha contattato. E lui: Fai un film che riesca a raggiungere gli uomini e le donne di tutto il mondo. Fai come papa Francesco: parla alla gente. A quel punto ho capito perché m'avevano contattato: soltanto un film avrebbe avuto una tale forza di persuasione, negata alla tv», chiarisce Wim. Il quale ha visto Francesco, giullare di Dio di Roberto Rossellini, trovandolo «troppo ingenuo», come il Francesco di Liliana Cavani, ma alla fine ha capito che non poteva usare l'ispirazione altrui.

«Ho

fatto un film senza soldi: arte povera. Papa Francesco è un uomo senza paura ed è l'unica voce del pianeta che ha autorità morale. Non ho il suo numero di cellulare, ma stando occhi negli occhi con lui, ci siamo capiti».

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