Mi si nota di più se non vado o se vado ma me ne sto in disparte? O se non vado e lo scrivo su tutti i social? Oppure se vado ma per spiegare perché fanno bene anche quelli che non vengono? O se sto a casa e sostengo chi c'è? O invece vado ma per manifestare i motivi per cui è giusto non andare? L'importante è dire «Basta!». Sì, giusto. Ma a cosa?
Il Salone del Libro di Torino si sta spaccando. Peccato. Una volta che non viene diviso dal Salone di Milano è capace di dividersi da solo. Il fatto è che non se ne capisce bene il motivo. C'è chi lo fa perché ha scoperto ora, tre giorni prima dell'apertura, che c'è anche un editore «vicino» a CasaPound e quindi ritiene inaccettabile concedere spazio e voce a chi vorrebbe negare spazi e voci. Ed è un conto. Poi c'è chi, in maniera più confusa, allarga la contestazione anche al vicepremier Salvini e a un partito (la Lega) «vicino» a un editore «neo fascista». Ed è un'altra cosa. E infine c'è chi (sull'onda emotiva sollevata da Christian Raimo, che si è dimesso da consulente ma resta al Salone «da autore, lettore e cittadino»...) estende la lista di proscrizione a giornalisti e intellettuali «vicini» a idee sovraniste o di destra a cui si sentono «vicini» anche editori dell'ultra destra... Tre gradi di separazione non fanno una protesta, ma una follia ideologica.
Comunque resta il fatto che la presenza dell'editore Altaforte al Lingotto ha frantumato in mille posizioni diverse il fronte della cultura antifascista. Cinquanta sfumature di rosso. Il primo a scegliere la defezione contro la presenza dei fascisti al Salone è stato il collettivo Wu Ming (sempre pronto quando c'è un appello da lanciare per sfruttare meglio il cancan mediatico), poi lo storico Carlo Ginzburg (due giorni fa). Ieri, dopo il weekend, la diga editoriale eretta sul Po è crollata del tutto. Zerocalcare ha annullato tutti i suoi impegni al Salone perché «mi è impossibile pensare di rimanere tre giorni seduto a pochi metri dai sodali di chi ha accoltellato i miei fratelli, incrociarli ogni volta che vado a pisciare facendo finta che sia tutto normale». La presidente dell'Anpi Carla Nespolo ha cancellato la presentazione di un libro della partigiana Tina Anselmi. La neonata casa editrice People fondata da Giuseppe Civati - sinistra extra Pd - terrà il banchetto al Salone, ma vuoto, con la scritta «Stand against fascism». In inglese. La casa editrice minimum fax conferma la presenza al Lingotto, «pur comprendendo le ragioni di chi invita a boicottare il Salone». Mentre Michela Murgia ci sarà, «ma per non lasciare ai fascisti lo spazio fisico e simbolico del più importante appuntamento editoriale italiano». Non cancella il suo incontro ma lo userà per leggere testimonianze antifasciste. Il suo post su Facebook è stato controfirmato da un gruppo di amiche murgiane (Helena Janeczek, Chiara Valerio, Evelina Santangelo...) ma anche da Nicola Lagioia e Christian Raimo, che fra loro non si possono più neanche vedere. La filosofa Donatella Di Cesare twitta solidarietà a Raimo #NOAIFASCISTI. Bruno Arpaia ha scritto che andrà, ma «magari protesterò davanti agli stand dei fascisti, chiederò di metterli fuorilegge secondo Costituzione». Emanuele Fiano (presidenza del gruppo Pd alla Camera) ha fatto sapere che lui al Salone, con una casa editrice fascista, non andrebbe mai, ma in realtà non l'hanno invitato. Poi ci sono scrittori di seconda fila che incitano a non battere in ritirata, «sarebbe meglio andare tutti al #SalonedelLibro a picchettare lo stand di Altaforte e cantar loro #BellaCiao ad oltranza».
Strano, però, che nessun editore rinunci a vendere libri. O che gli autori non chiedano di ritirare i propri. È l'ideologia che traccia il solco, ma è il denaro che lo difende.
Al Salone sono in programma 560 presentazioni. L'unica di cui i giornali e la Rete stanno parlando è la non presentazione (Salvini neppure ci sarà) di un editore «vicino» a CasaPound di cui, fino a oggi, nessuno sapeva niente. Complimenti a tutti gli #antifascisti. Intanto l'Associazione italiana editori (presieduta da Ricardo Franco Levi, uno che prima voleva affossare Torino portando il Salone a Milano, poi ha affossato Milano ed è tornato impunemente a Torino) ieri si è dimenticata di prendere una posizione. Però con un comunicato ha fatto sapere che «Torna a crescere la lettura in Italia». «Anche se continuiamo a occupare le posizioni di coda nel ranking europeo: dietro ci sono solo Slovenia, Cipro, Grecia e Bulgaria». E nella classifica della libertà di pensiero, come siamo messi?
Poi rimane la reazione di
Francesco Polacchi, l'editore nella bufera. «Raimo va considerato il mandante morale di ciò che potrebbe accadere a Torino. Qualcuno ha scritto che verrà a Torino per tirarci le molotov... Temo un contesto burrascoso». Anche noi.
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