Solo casacca differente della sua infinita carriera. Una follia ben calcolata, bisogna dirlo, visto che l'attaccante uruguayano nei mesi scorsi l'aveva anche dichiarato ai cronisti. «Sono contento di giocare per il Puerto Montt, ma non mi fermerò qui. Voglio lasciare un segno indelebile nella storia del calcio». Detto, fatto e a 41 anni suonati ha firmato per i cileni dell'Audax Italiano, con cui disputerà oltre al campionato anche la prossima edizione della coppa Sudamericana. Pfannenstiel, fermo a quota 25 club, si consola con il "record dei continenti", avendo messo piede in tutte e sei le confederazioni.
Abreu, reduce dall'esperienza al Puerto Montt con cui è stato capocannoniere nella serie cadetta cilena, è cresciuto nel Defensor Sporting di Montevideo e ha giocato, oltre che in Uruguay, anche in Argentina, Spagna, Brasile, Messico, Israele, Grecia, Ecuador, Paraguay, El Salvador e appunto Cile. Forse però in pochi sanno che per Abreu il calcio è stato una sorta di ripiego. A 16 anni "el Loco" era una promessa del basket uruguayano, fino a quando durante un raduno collegiale della "Celeste" giovanile venne pescato in una discoteca, completamente ubriaco, alle 4 del mattino con un compagno di squadra. Fu l'inizio della fine con il canestro, e l'inizio, ad oggi senza fine, con la sfera di cuoio. Un anno dopo la notte brava lo troviamo infatti titolare nella nazionale di calcio Under 17. E' l'incipit della carriera raminga costellata da una serie infinita di aneddoti. Per raccontarli tutti ci vorrebbe un libro. Il precoce Sebastian a 5 anni spaventò la famiglia mettendosi a giocare con una pistola in casa di una zia. Si dilettò persino da giornalista raccontando, per il quotidiano El Serrano, le cronache delle gare da lui giocate e dove si definiva il migliore in campo. Tutti i torti non li aveva, visto che a oggi ha realizzato oltre 400 gol vincendo otto scudetti e una coppa America con l'Uruguay. C'è infatti una maglia che non ha mai tradito, quella della Celeste, indossata in 57 occasioni con 31 gol realizzati. Uno è entrato nella leggenda, quello su rigore rifilato al portiere del Ghana nei quarti di finale dei mondiali in Sudafrica nel 2010. Un tocco tanto delicato quanto strafottente, da noi sdoganato come "il cucchiaio", per i sudamericani "a cavadinha". E se Totti con Van der Sar tirò fuori dal cilindro un'invenzione impertinente per esorcizzare la paura, per Abreu non è nient'altro che la consuetudine. Ne ha realizzati 28 di rigori in quella maniera. Le statistiche sostengono meno, ma lui dice di tenere il conto su un quadernetto. L'ennesima follia di un "loco" giramondo.
Un attaccante che regala poesia mettendosi sulle spalle, da sempre, la maglia numero 13. «Non credo alla scaramanzia, a me interessa spiegare il mio calcio». Forse non sarà quello più giusto del globo, ma dispensa fascino. In attesa del 27° matrimonio.
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