Notizia storica per il mondo dello sport: le atlete diventano sportive professioniste, anche dal punto di vista contrattuale.
La commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento alla manovra che equipara le donne ai colleghi maschi, estendendo le tutele previste dalla legge sulle prestazioni di lavoro sportivo, e per promuovere il professionismo nello sport femminile introduce un esonero contributivo al 100% per tre anni per le società sportive femminili che stipulano con le altlete contratti di lavoro sportivo. L'emendamento alla legge di Stabilità con cui Palazzo Chigi ha aperto al professionismo femminile per calcio, basket, volley e rugby prevede lo stanziamento di 20 milioni per i prossimi tre anni (4 per il 2020, 8 per il 2021 e 2022) e contributi a carico dello Stato fino a un massimo di 8 mila euro a stagione (pari a un lordo di 30 mila, il tetto massimo degli stipendi in Italia).
''Un passo storico e rivoluzionario - aveva sottolineato prima dell'approvazione Katia Serra, responsabile per il calcio donne dell’Assocalciatori -, che risolverebbe il problema della sostenibilità nei grandi sport di squadra. Poi saranno le singole federazioni a deliberare in professionismo. Faccio fatica a immaginare, se l’emendamento passasse, a quale altro alibi i presidenti dei club potranno appigliarsi''. Basti pensare infatti soltanto riguardo al calcio che in Europa su 51 campionati nazionali femminili di calcio soltanto cinque sono totalmente professionistici (Inghilterra, Russia, Svezia, Ucraina, Cipro), 19 semi-professionistici (Francia), 27 dilettantistici, tra cui la Serie A italiana. Perché l’Italia, zavorrata dall’obsoleta legge 91/1981, considera le sue campionesse tutte: da Federica Pellegrini oro olimpico a qualsiasi altra atleta, mere dilettanti.
Una battaglia di rivendicazioni, che aveva visto in prima linea Sara Gama, capitano della Juventus e della Nazionale che aveva denunciato: ''Di fatto oggi in Italia c'è una discriminazione di genere che non permette a nessuna atleta di essere professionista. La gente non sa che noi siamo dilettanti in Italia. Non si può continuare così, ma non vogliamo affossare il sistema proprio adesso che iniziamo a divertirci. Però io a 30 anni non ho i contributi, se non quelli che mi sono stati versati quando giocavo in Francia e non ho tutele assicurative''.
Allo stesso modo Michele Uva, che in qualità di direttore generale della Figc di Tavecchio nel 2015 spinse il calcio femminile nel futuro imponendo ai club di A di aprire una sezione femminile ha ricordato: ''Quattro anni fa le ragazze delle nazionali giovanili, a differenza dei colleghi maschi, non percepivano alcun gettone di presenza.
A quei tempi parlare di professionismo sembrava una barzelletta, oggi è necessario'' dichiarandosi a favore del professionismo nello sport femminile italiano, a patto che "il sistema non rimanga in piedi solo grazie ai club maschili''.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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