Dovizioso: "La mia normalità rivoluzionaria e il vero rimpianto: Simoncelli"

Andrea Dovizioso ha masticato amaro con l’arrivo di Lorenzo, poi l’ha umiliato: «Il titolo sfiorato? Più fiero per aver stupito con la semplicità»

Dovizioso: "La mia normalità rivoluzionaria e il vero rimpianto: Simoncelli"

dal nostro inviato a Bologna

Più o meno un anno fa gli dissero: arriva il supercampione, arriva Jorge Lorenzo, se vuoi restare, questa è l' offerta, prendere o lasciare. Nel senso: lui ci indicherà la via, tu la seguirai.

Più o meno un anno dopo lui, lo spagnolo della provvidenza, ha vinto zero gare mentre chi era stato costretto a ridursi lo stipendio e a masticare amaro pur di restare ne ha conquistate sei, è vice campione del mondo e ha indicato la via. Non è una favola.
Ci assomiglia. È la più bella storia sportiva dell' anno. Quella del pilota della porta accanto «e questa definizione mi piace» dice Andrea, quella del pilota invisibile «e questa mi piace meno», quella del pilota sbocciato a 31 anni «e questa proprio mi fa...», s' infervora e subito tace. Andrea Dovizioso è così. Diretto. Schietto. Ha appena terminato di festeggiare il Natale con gli operai e i dipendenti della Ducati, quegli stessi che avrebbe dovuto salutare un anno fa perché prendere o lasciare... E oggi sembrava uno di loro. Perché Andrea è una meravigliosa contraddizione: un antipersonaggio diventato personaggio «e sbocciato a 31 anni» sussurra ancora infastidito.

«Chi parla così non mi conosce. È uno dei motivi per cui non ho letto giornali o ascoltato commenti in tv per anni. Non avevo la possibilità di difendermi, ero in una posizione disastrosa, la sostanza non emergeva, erano interessati a gente che otteneva risultati inferiori ai miei ma più personaggio».

Poi, all' improvviso, il 2017.
«Le vittorie aiutano sempre. Si diventa interessanti. Però i riflettori si spengono velocemente. Il mio vero exploit non è aver vinto sulla Ducati che, per inciso, è cosa diversa rispetto a qualsiasi altra moto; non è averlo fatto per sei volte quest' anno; e non è aver lottato per il titolo fino all' ultima gara. L' exploit è esserci riuscito emozionando alla mia maniera: cioè rimanendo me stesso, senza compromessi, tranquillo, riservato, mai showman».

Appunto, invisibile.
«Eh, no. Questa mia normalità, in mezzo a un mondo di eccessi, ha invece stupito, rivelandosi originale. Oggi è tutta questione di immagine. Si deve apparire indipendentemente da ciò che realmente si è o si fa. I social sono importanti ma gestiti malissimo».

Sei sui social?
«Devo. Giusto il minimo».

Un 13enne prima di questo incontro: vai a parlare col Dovi? Forte il Dovi. E un 80enne: va da Dovizioso? Sembra in gamba quel ragazzo, una gran brava persona.
«Credo sia piaciuto questo mio non voler essere al centro dell' attenzione, questa mia voglia di normalità ha unito persone diverse e generazioni diverse. Probabilmente la gente si riconosce più facilmente in una persona che nonostante faccia cose non normali, nonostante guadagni cifre ben diverse dalle persone comuni, vive e ragiona e si comporta esattamente come loro. Senza eccessi. E questo mi dà una soddisfazione che non ha prezzo».

Normalità rivoluzionaria.
«Diciamo che non mi sono mai adattato al sistema».

Oltre a non apparire, ti critichi apertamente: ho sbagliato questo, avrei potuto fare...
«Perché odio chi dice balle. Ed è pieno. Per cui dico tutto, non mi interessano le conseguenze».

L'applauso del paddock di Valencia a mondiale finito.
«C'è applauso e applauso: quello era sincero. Team avversari, piloti avversari, persone che fino a quest' anno mi avevano sempre ignorato hanno preso a sostenermi. Ecco. Se riesci a creare tutto questo è perché trasmetti qualcosa e piaci. E se piaccio io, vuol dire che piace la normalità. Altrimenti neppure mi vedi».

Non sei complesso per un mondo un po' pane e salame come il motociclismo?
«Togli un po'».

Serve gente sensibile per capirti a fondo.
«Infatti faccio molta fatica».

In che senso?
«Per esempio, il mio rapporto con Ducati: è stato molto complicato perché non scendo a compromessi più di tanto».

L'anno scorso sì, con l' arrivo dell' ingombrante Lorenzo.
«Perché avevo un obiettivo e un lavoro di anni da proseguire. I risultati hanno dimostrato che il compromesso era giusto. Ma a livello umano non ne accetto».

Il compromesso Ducati era...
«Economico. Ma anche di rapporti interni. Perché non mi è piaciuto per niente come mi era stata esposta l' intera questione».

Il contratto scade a fine 2018.
«Sì, e stiamo già trattando. Sarà molto complicato accordarsi. Quel che si decide ora condizionerà subito il 2018... Vediamo».

A Valencia, nonostante Lorenzo avesse ignorato i cartelli esposti dal team che lo invitavano a farti passare mentre lottavi per il titolo con Marquez, hai bloccato sul nascere le polemiche. Come a dire, ehi, non è successo niente...
«Più o meno».

Qualcosa era accaduto?
«Sì. Ma alla fine cosa sarebbe cambiato se avessi spinto sull' argomento per far venire fuori Jorge ancora peggio? L' importante è che in Ducati si sappia come sOno andate le cose e che questa situazione paghi al momento giusto».

Pilota della porta accanto anche perché vivi a Forlì e in un' ora sei in Ducati. Quasi fossi un operaio, un dipendente che va in fabbrica...
«Non mi definirei così. Per rispetto verso chi si fa davvero un mazzo lavorando ogni giorno. Però è vera una cosa: nel motomondiale, piloti e team si vedono alle gare e ai test, poi, magari per mesi, niente. Io no. Io ho proprio voluto entrare nei meccanismi Ducati e loro me l'hanno permesso. Forse per questo ora è complicato il rinnovo. Perché desidero che certi rapporti umani migliorino, perché non mi basta parlare di soldi e voglio che ciò che non mi va bene cambi (chiede da tempo una moto più guidabile a centro curva, altrimenti su certe piste, non ci sarà mai partita, ndr)».

Pilota della porta accanto e pilota-padre.
«Sara ha otto anni. Vive con me. Sono un papà presente. Gare e impegni permettendo. Appena posso resto a casa. A volte litigo con la Ducati per partecipare a meno eventi possibili. Solo così riesco a stare di più a Forlì e a seguirla. Vivere tanto la casa aiuta come genitore e ad ottenere il massimo dalla moto. Per un atleta troppe distrazioni non vanno bene».

La vai a prendere a scuola?
«Ovvio. E parlo con le maestre. Sarebbe strano il contrario, no?».

E nell'attesa della campanella firmi autografi ai genitori.
«Ecco, sì. E in questo faccio fatica. Hanno il personaggio davanti e vanno come in trance e invece vorrei solo dirgli guardate che io sono come voi, normale, niente di più».

E per tua figlia cosa sei?
«Un papà che lavora con la moto. Semmai il problema è con i suoi amichetti...».

E cosa sei diventato per i piloti top del mondiale?
«Fino a quest' anno ero considerato uno molto forte ma che a fine stagione comunque lo batto.

Poi hanno cambiato approccio.
Ora sanno che sono uno di loro».

Da che cosa l' hai percepito?
Sorride. «Non si distraggono più quando tocca a me parlare nelle conferenze stampa».

E tu come li valuti? Per esempio, Rossi.
«Vale è tante cose. Lo si può amare o odiare ma ha attirato e appassionato milioni di fan. Lui è l' anomalo che ogni tanto viene fuori nello sport. È il Tomba dello sci, è il Bolt dell' atletica. Ha cambiato e condizionato il nostro mondo e quando hai la forza di condizionare, significa che di quel mondo sei il re».

Marquez?
«Marc è uno che ha spostato i limiti dell' andare in moto».

Cosa significa?
«Prima di lui, chi aveva appena rischiato di cadere non riusciva più a rendere al massimo, era come se gara o prestazione venissero compromesse. Marc ha dimostrato che si può sbagliare senza poi condizionare il rendimento».

Perdona la domanda brutale: quando morì Marco Simoncelli si raccontò della vostra rivalità fortissima. Il giorno del funerale però tu eri là. In mezzo ai suoi tifosi che ti guardavano storto.
«Io e Marco eravamo rivali da quando avevamo 7 anni. Una rivalità scomoda. Eravamo cane e gatto, lui quello aggressivo che sportellava, io quello buono e tranquillo. Due modi di vivere diversi, lui giocherellone e scanzonato, io serio e preciso. Non abbiamo mai legato. Però c' è stato sempre rispetto sportivo perché sapevamo entrambi quanto eravamo forti.
Quando Marco morì mi accadde qualcosa di strano. Tieni presente che non riuscivamo ad essere amici, che neppure ci parlavamo... e invece scoppiai a piangere. Io che non piangevo mai mi ritrovai in lacrime. Per questo, prima del funerale, decisi di andare a casa sua, da sua mamma, da suo papà Paolo. Già, il papà. Con cui fin lì avevo avuto un rapporto addirittura peggiore che con Marco. Ricordo quel giorno, eravamo uno di fronte all' altro e ci guardavamo e capivamo. Per la prima volta comprendevamo che per anni ci eravamo visti in modo distorto per via della competizione e della rivalità. Per la prima volta eravamo due persone reali. E da lì è nato un bel rapporto. È incredibile come la vita ti spinga a incaponirti su convinzioni sbagliate... E io, ora, ripensando a tutto ciò che era successo prima, vedo Marco completamente diverso da come l' avevo vissuto. Solo che è troppo tardi»

Una promessa per il 2018?
«Vorrei poter dire che spaccheremo il mondo e vinceremo, ma non posso. Certo, possiamo far bene, ma ci sono aspetti tecnici che vanno migliorati adesso, perché poi sarà troppo tardi. Per questo sono preoccupato».

Un tuo amico mi ha detto: visto che lui non appare mai, vive riservato, chiedigli della fidanzata... è la ragazza più bella del motomondiale.
Ride. «Alessandra è come me. Viviamo in disparte. Perché il nostro amore non è social. Siamo insieme da quattro anni e abbiamo progetti importanti. È anche merito suo se ora ottengo certi risultati.

Non basta la moto, non basta l' allenamento, serve soprattutto che a casa sia tutto a posto». Sorride. «A pensarci, forse, dovrei essere un po' più social... L' altro giorno mi ha detto: Ma diamine, la gente non sa neppure che siamo insieme».

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