Ha perso un fratello. Non c'è retorica in quello che diciamo e in quello che lui dice. Perché per Alfredo Martini, l'altro "grande vecchio" del ciclismo italiano, Fiorenzo Magni era davvero qualcosa di più che di un amico. «Non c'era giorno che non ci sentissimo - ci racconta lo storico ct della nazionale, oggi presidente onorario della Federazione ciclistica italiana -. Eravamo quasi dello stesso anno, lui dicembre del '20, io febbraio del '21. Entrambi toscani, entrambi interpreti di un ciclismo eroico, quello di Bartali e Coppi. Io gregario, lui campione capace di combattere a testa alta con quei due là. Oggi piango la perdita di una parte di me».
La voce di Alfredo Martini è morbida come la seta. Lunghe pause, per controllare l'emozione. Per cercare nella sua mente e nel suo cuore le parole più appropriate. «Quando si parla di una persona che ci ha lasciati per sempre, a volte, non sai nemmeno che parole usare. Ti sembrano tutte vuote. Posso solo dire che Fiorenzo è stato un uomo coraggioso, dotato di grande personalità, intelligenza e tenacia».
Dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943, Magni aderì alla Repubblica Sociale Italiana e per questo fu sospeso nel 1946 dalle corse e processato per il presunto coinvolgimento in uno scontro con i partigiani a Valibona, in Toscana. Ma fu assolto grazie alle testimonianze di Martini e Bartali e scagionato quindi dall'accusa di collaborazionismo.
«Cosa vuoi che ti dica? Fiorenzo ha sempre avuto le sue idee, ma non ha mai fatto male ad una mosca. Io lo conoscevo bene e non ho fatto altro che dire quello che sapevo di Fiorenzo. Non ho fatto nulla di eroico, ho solo difeso un fratello in difficoltà. Sì, perché per me Fiorenzo è sempre stato come un fratello».
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