Londra si mette il velo per i Giochi più islamici

Il Cio ha preteso almeno un’atleta donna da ogni Paese arabo, ma ha confezionato un’edizione a misura di ramadan. E i capitali degli emiri salvano le infrastrutture

Londra si mette il velo per i Giochi più islamici

In mezzo ai cinque cerchi olimpici c’è una mezza­luna. Invisibile,impalpabile,eterea.Ma c’è.Ben­venuti nei Giochi più islamici della storia. Non c’è mai stata una città più musulmana di Londra tra quelle che hanno ospitato le Olimpiadi. Un milione di islamici residenti più quelli che arriveranno. Poi i tremila e cin­quecento atleti di Allah, anche lo­ro mai stati così tanti. Poi tutti i Paesi islamici che gareggiano in tutte le discipli­ne. Poi la coinci­denza con il rama­dan, che è cominciato il 20 luglio e finirà il 18 agosto. Poi, poi, poi. L’islam gioca la sua Olimpiade. La gioca in Europa, cioè in casa pur essen­do fuori casa. La gioca per segna­re il tempo. Col velo o senza, con senso di sfida nei confronti del re­sto del mondo o senza.

È un equilibrio sottile quello trovato, fatto di un tira e molla in cui il comitato organizzatore ha ceduto parecchio: il Cio voleva a ogni costo che a Londra tutti i Pae­si arabi mandassero almeno una donna. Hanno trattato, hanno parlato, hanno mediato: alla fine accade. Ci saranno ragaz­ze del Qatar, del Bahrein, dell’Ara­bia Saudita. Vitto­ria, sì. E però sconfitta da qual­che altra parte.

Perché le conces­sioni che il Comita­to olimpico internazionale e Londra hanno fatto sono state di­verse. Meno eclatanti, ma più nu­merose. Meno appariscenti, ma più decisive. Il mondo racconte­rà la straordinaria storia di Bahi­ya al-Hamad, campionessa di ti­ro, portabandiera del Qatar. Velata. Si parle­rà delle ragaz­ze iraniane e delle saudi­te: flash e im­magini.
Bagliori di democrazia e rispet­to dei diritti umani. Lam­pi di modernità di facciata per Paesi che fanno fatica persi­no a pronunciare la parola «don­na ».

Resteranno ricordi, sorrisi, feli­cità, mentre la contropartita ri­marrà anonima. C’è,però.C’è,ec­come. Per la prima volta nella sto­ria nel Villaggio olimpico ci saran­no zone islamicamente corrette: aree destinate agli atleti musul­mani dove poter pregare. Ogni dormitorio ne avrà una. Poi, ap­pena dopo il tramonto del sole, verranno serviti pasti speciali. Tutte le catene di ristoranti e risto­ri del Villaggio rimarranno aper­te 24 ore su 24 per consentire agli atleti islamici di mangiare negli orari in cui il ramadan glielo con­sente.

Sì, il ramadan. Molto delle Olimpiadi musulmane ruota at­torno al digiuno: alcuni Paesi ave­vano persino chiesto al Cio di spo­stare le date dei Giochi per evita­re la coincidenza con il ramadan.

Non ce l’hanno fatta, ma hanno ottenuto concessioni che mai c’erano state. Non è la prima vol­ta che le Olimpiadi si disputano durante il mese di digiuno islami­co: accadde già nel 1904 a St. Louis e sempre a Londra nel 1908, poi ancora a Londra nel 1948, a Monaco nel 1972, a Mo­sca nel 1980, a Los Angeles nel 1984, a Barcellona nel 1992. Mai, neanche una volta, il Cio s’è fatto influenzare: nessun orario, nes­suna regola, nessun comporta­mento condizionato dalla pre­senza degli islamici. Stavolta sì. Stavolta eccome. I volontari so­no stati tutti istruiti: in alcun caso bisogna urtare la loro suscettibili­tà, anche involontariamente. A ciascuna domanda bisogna ri­spondere con una frase religiosa­mente corretta.

A tutti bisogna ri­cordare che all’interno delle aree olimpiche si potrà consumare ci­bo prima dell’alba e dopo il tra­monto. I Giochi Halal, appunto. Cioè a misura di islam.

Quattro anni fa, a Pechino, le autorità cinesi avevano così pau­ra dell’estremismo islamico in­terno che cominciarono a coc­colare i musulmani.

Eppure è nulla in confronto a Lon­dra.
Perché lì non c’era­no connessioni economiche e po­litiche.
Qui sì. Londra e i suoi Gio­chi esistono grazie ai capitali ara­bi.

Il simbolo della metropoli og­gi è lo Shard, il grattacielo-scheg­gia disegnato da Renzo Piano: è stato tirato su dai soldi del Fon­do sovrano del Qatar. Attra­verso la sua divisione immobiliare, l’emi­rato è diventato anche il maggior azionista di Ca­nary Wharf, il centro finan­ziario della metropoli bri­tannica. La stessa società, la Qatari Diar im­mobiliare, ha ac­quisito il 50 per cento del Villaggio olimpico.L’ha fatto attraverso una joint venture in compro­prietà con l’inglese Delancey: 668 mi­lioni di euro per trasformare gli alloggi in ap­partamenti da affittare già dal 2013. Co­la­te di de­naro che hanno permesso a Londra di respirare in questi anni di sforzo immane per arrivare all’appuntamento olimpico nonostante la crisi in­ternazionale.

Da soli gli inglesi non ce l’avrebbero fatta. La prova è che l’altro simbolo delle Olimpiadi è la nuova cabinovia che scavalca il Tamigi e guarda dall’alto la cit­tà. La società che la stava co­struendo era in difficoltà, pron­ta a mollare il lavoro a metà. A sal­vare il progetto è stato il fondo so­vrano di Dubai, attraverso la sua compagnia aerea, la Emirates: s’è accollata i costi dei lavori in cambio della sponsorizzazione eterna dell’opera.Ciascun tralic­cio e ciascuna cabina ora sono piene di scritte Fly Emirates. Il minimo, per aver dato il massi­mo.

Il minimo all’apparenza: dietro c’è la conquista della città e, attraverso Londra, di un pezzo di Occidente. Le Olimpiadi isla­miche non si vedono a occhio nu­do: sono velate. Non è una meta­fora, è una strategia.

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