Una medaglia d'oro ai Giochi di Pechino, nel duemila e otto. Tutto qui. In quattordici anni di albiceleste Lionel Messi, il più grande, chiedendo scusa a Cristiano Ronaldo, non ha raccolto il becco di un titolo con la sua nazionale. E dire che si tratta dell'Argentina, non certo della Serbia o del Paraguay, dunque dei maestri storici del football, insieme con i brasiliani e gli inglesi, quest'ultimi depositari delle regole e creatori del gioco. Ma il mistero Messi non si può risolvere, resta appeso al cielo che per lui è limpido e pieno di sole quando Lionel veste la camiseta blaugrana e allora sono onori grandi per il Barcellona e dolori per gli avversari. Si contano i gol e i Palloni d'oro ma appena cambia spogliatoio e indossa un'altra maglietta, quella della sua origine, della sua fede, il malocchio, diciamo così, batte la qualità e il censo tecnico.
Contro il Brasile, a Belo Horizonte, Messi e l'Argentina hanno giocato una delle migliori partite dell'ultimo quinquennio ma hanno dovuto sbattere con la perfidia avversaria (un fantastico Dany Alves) e l'inconsistenza, per non usare altri sostantivi, dell'arbitro Robby Zambrano, un equadoregno che come seconda occupazione è cuoco professionale, e dei suoi collaboratori, i compatrioti Lescano e Romano ma sopratutto i due uruguagi, il quarto arbitro Ostojich e l'addetto al Var Gonzales, totalmente disoccupato: «Erano così stanchi delle stronzate commesse durante la partita che non si sono nemmeno degnati di verificare al Var i due episodi chiarissimi di rigore a nostro favore», così ha detto Messi, finalmente da capitano, con il tono giusto da leader, come lo fu, prima di lui, Mascherano.
Finale mancata, un'altra delusione per La Pulce che ora deve rimandare la sfida al mondiale in Qatar, quando avrà anni trentacinque, a meno che lui stesso non decida di abbandonare la nazionale e di pensare soltanto alla Catalogna, alla Liga, ai Palloni d'Oro del Vecchio Continente.
Resta il sapore amaro di un sogno mai divenuto realtà, di una rincorsa finita troppe volte sul binario morto, di un campione assoluto ma con due facce, quella spavalda, irresistibile nel calcio europeo e quella triste, solitaria e mai final con la maglia albiceleste.
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