Se il razzismo sgonfia pure la palla ovale

Se il razzismo sgonfia pure la palla ovale

C'era una volta un'isola felice a forma di pallone ovale: uno sport dove gli avversari si rispettavano e dove più della singola vittoria contava il duro lavoro, il sacrificio degli allenamenti, il risultato sul lungo periodo. E dove un derby tra Padova e Rovigo, due istituzioni del rugby italiano, due culle della cultura di questo sport, avrebbe riassunto in sé le felici anomalie della passione rugbistica. Invece il 12 gennaio scorso padovani e rodigini si incontrato in Continental Shield, la coppa europea, e accadono cose da far impallidire l'odiato calcio. L'allenatore del Rovigo, Umberto Casellato, dà del «negro di merda» al mediano di mischia del Petrarca, il samoano Jeremy Su'A. Il pilone argentino del Petrarca, Romulo Acusta, al momento dei saluti finali - un momento sacro del rugby, quello in cui le asprezze degli ottanta minuti vengono buttate alle spalle in vista del terzo tempo - sputa in faccia all'estremo del Rovigo, Massimo Cioffi. E, ciliegina sulla torta, i vertici del Petrarca, inferociti per la sconfitta all'ultimo minuto, licenziano su due piedi l'allenatore della mischia, Augusto Allori: roba che neanche lo Zamparini dei tempi d'oro. Un caso isolato? Purtroppo no. Perché il derby veneto sintetizza un imbarbarimento che non è di oggi, e che a lungo andare rischia di rendere anacronistica l'alterigia con cui i rugbisti guardano da sempre il mondo del calcio. È vero: certi germi circolano nella società, e nessuno ne è immune. Ma anticorpi che un tempo apparivano imbattibili oggi non funzionano più, e sarebbe il caso di andarsi a chiedere cosa è cambiato. È colpa solo del mondo esterno, o c'entra - per fare una ipotesi - l'arrivo dei (pochi) soldi, il professionismo un po sfigato che inaridisce il rapporto col territorio, le radice, i valori? Bisogna chiederselo, perché è anche in nome di quei valori che centinaia di squadre grandi e piccole convincono ogni giorno tante mamme italiane a mandare i loro bambini a placcare e ad infangarsi.

L'anomalia del rugby è ancora viva, e il 9 febbraio all'Olimpico italiani e gallesi tiferanno e berranno gli uni accanto agli altri, nella festa del 6 Nazioni. Ma credersi migliori degli altri non tutela questo patrimonio.

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