La torcia accende i Giochi più antidemocratici di sempre

La torcia accende le Olimpiadi anti-de­mocratiche. È il totalitarismo della po­litica sportiva, della sicurezza, della sponso­rizzazione estrema. Ecco il regime a 5 cerchi

La torcia accende i Giochi più antidemocratici di sempre

La torcia accende le Olimpiadi anti-de­mocratiche. È il totalitarismo della po­litica sportiva, della sicurezza, della sponso­rizzazione estrema. Siamo nel regime a cin­que cerchi. Piacevolmente inquietante. È la contraddizione globale: la patria delle li­bertà individuali che si trasforma nella dit­tatura del divieto.

You can’t , è la frase più dif­fusa in questi giorni. Non puoi. Tu e tutti gli altri. A Pechino, quattro anni fa, potevi aspettartelo: atleti, giornalisti, spettatori, tutti intruppati e controllati a vista. Qui no. L’Inghilterra non ha carte di identità per i suoi cittadini perché sarebbe un’invaden­za eccessiva nella loro privacy . I Giochi stra­volgono la storia, sconvolgono le consuetudini. È come vivere in uno stato altro: per entrare nel­la zona olimpica hai bisogno del tuo passaporto, quel pezzo di plastica che dice al mondo che tu sei cittadino temporaneo di questa enclave antidemocrati­ca. Londra accetta con fastidio il re­gime olimpico. La città s’è ribellata per settimane all’idea di essere militarizzata:13 mila soldati nelle strade, le postazioni missilistiche sui tetti delle case. Non c’era­no durante la Seconda guerra mondiale e ci sono per lo sport. Possibile?Possibile.È l’autorita­rismo olimpico che paradossal­mente tocca il suo apice a Lon­dra. La libertà è un sogno sospe­so. Vale per la paura degli atten­tati, sì. Poi, però, c’è tutto il re­sto: i cittadini hanno perso molte delle libertà che avevano e che avranno alla fine dei Giochi. Ci sono intere zone do­ve le strade sono divise a metà: da una parte il traffico è paralizzato,dall’altra è tutto vuo­to, perché quelle sono le «Official Olympic Lanes», le preferenziali per la carovana olimpica: ci possono passare solo le auto au­torizzate. Cioè quelle del Cio, quelle degli sponsor, quelle degli organizzatori. La ca­sta olimpica. L’ Independent le ha già chia­mate «Zil lanes», come le corsie che a Mo­sca, durante il regime sovietico, erano dedi­cate alle auto del partito comunista.

È il sintomo del fastidio che in questi gior­ni­circola nella parte della città disinteressa­ta ai Giochi. Circola anche dentro il parco olimpico, a dirla tutta. Dentro il villaggio, gli atleti possono usare solo in parte i social network: vietato mettere su twitter e face­book le foto, vietato anche dare informazio­ni sensibili. Se vogliono possono scrivere le loro impressioni e le loro emozioni, punto. La libertà è un’opinione e a volte neanche quella.L’Olimpiade antidemocratica è rias­sunta dall’Olympic Act, approvato nel 2006 e in vigore fino al 31 dicembre. Per legge è vietato l’utilizzo improprio delle parole«ga­mes », «2012», «Twenty twelve», «Two Thou­sand and Twelve ». Cioè: nessuno può asso­ci­are questi termini a campagne pubblicita­rie, a iniziative non autorizzate, a manifesta­zioni di vario genere. A fine anno la legge li­berticida del vocabolario decadrà, ma fino ad allora attenzione anche a usare: oro, ar­gento, bronzo, Londra, medaglie, sponsor e perfino estate.

Non è una barzelletta, è la surreale realtà. È comprensibile la logica, è folle l’applica­zione. I giornali inglesi hanno raccontato le storie di chi è incappato nei divieti. Un ma­cellaio del Dorset aveva addobbato la sua vetrina disegnando i cerchi olimpici con delle salsicce: è stato multato. Una signora di 81 anni del Kent aveva ricamato la scritta «London 2012» sul vestito di una bambola che vendeva alla festa della parrocchia per beneficenza ed è stata ammonita: se lo fa­cesse ancora dovrebbe pagare mille sterli­ne di multa. Persino i genitori della princi­pessa Kate ci sono andati di mezzo: la loro società Party Pieces è stata deferita per ave­re pubblicizzato alcuni prodotti utilizzan­do i colori dei cerchi olimpici senza averne i diritti. Il coreografo David Bintley ha intito­lato il nuovo spettacolo «Faster, Higher, Stronger». L’hanno chiamato e gli hanno gentilmente ordinato di cambiare: troppo simile a «Citius, Altius, Fortius», il motto uffi­ciale del Comitato olimpico internaziona­le. Il Cio, sì. Che a Londra è considerato il principale responsabile della momenta­nea tirannia. Colpa loro, dicono, se c’è il fa­scismo dei marchi. Lo chiamano così: fasci­smo. È il dispotismo degli sponsor: giovedì un cameraman è stato redarguito perché la sua ripresa insisteva troppo sul logo di una scarpa di un atleta. Era della marca sbaglia­ta, Nike, la principale concorrente di uno dei più grandi sponsor olimpici, Adidas. Va così.
Per chiunque è impossibile entrare in tut­to l’O­lympic Park con la bottiglia di una bibi­ta che non sia della Coca Cola.

McDonald’s ha ottenuto che nel raggio di due miglia e mezzo dalla zona olimpica nessun altro ven­da patatine, che nella patria del fish and chi­ps è una bella pretesa. Ha vinto: medaglia d’oro della dittatura olimpica. Record del­l’esagerazione. Solo che non serve, nean­che a farsi pubblicità.

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