"Vialli il più forte, Belotti un campione. E nel mio Mondo si lotta sempre"

Emiliano Mondonico a 70 anni racconta la sua carriera e la sfida contro la malattia

"Vialli il più forte, Belotti un campione. E nel mio Mondo si lotta sempre"

Settant'anni di Mondo, di amore, di passione e di battaglie. «Quelle più difficili le sto combattendo per mettere al tappeto la brutta bestia che bussa alla mia porta. Ma non mi arrendo». Emiliano Mondonico spegne 70 candeline, senza vestire i panni del timoniere, ma con l'intatto desiderio di raccontare il calcio che ha vissuto da protagonista dai tempi della Cremonese, fino alla toccata e fuga di cinque anni fa a Novara. Nel mezzo c'è il suo Mondo, fatto di storie cucite per uno sceneggiatore da Oscar.

Si riconosce in questo calcio?

«Mi riconosco nel calcio, in quello dove non devi farti condizionare. Il calcio è qualcosa di personale, è un'esperienza unica che va vissuta. Non è un sentito dire».

Eppure ci sono stati personaggi talmente dispari che non potrebbero più appartenere al pallone d'oggi, tipo Domenico Luzzara.

«Lo sa che comprò la Cremonese perché non avevamo i soldi per la bolletta dell'impianto elettrico dello stadio? Ci disse, ragazzi, fate voi, io non ci capisco nulla. Il calcio è fatto anche di un padre che compra la squadra della sua città per vedere il figlio contento».

La Cremonese è stata il suo trampolino di lancio. Esiste un momento di gioia che le va di cristallizzare?

«Ogni volta che andavo in campo, quando iniziava l'allenamento. Mi illuminavo di idee. Gli allenamenti hanno la loro sacralità, sono i momenti in cui tutti assieme mettiamo a frutto il lavoro. Ricordando che volare quando va bene è sbagliato, perché quando le cose iniziano a non funzionare ti sotterrano. Ed è più difficile risollevarsi».

Lei si è risollevato anche e soprattutto nella vita, affrontando di petto la sua malattia.

«Ecco, allora possiamo considerare il momento più bello quello vissuto a Novara. Mi ha fatto stare bene riprendere. Ringrazio la dirigenza: se questa società ha avuto fiducia in me significa che la malattia in quel frangente era solo un ricordo».

In carriera ha allenato tantissimi campioni, chi considera il più forte di tutti?

«Gianluca Vialli, una forza della natura, ma soprattutto una persona vigorosa sotto tutti i punti di vista. A livello psicologico era uno straordinario motivatore, ed è stato sostenuto nelle sue scelte dalla famiglia. Sapevano che sarebbe diventato un campione, ma hanno voluto che prendesse un diploma, che diventasse un uomo prima ancora che un calciatore».

Chi invece l'ha delusa?

«Il Mondonico calciatore. A 30 anni ho capito che era meglio lasciar perdere»

Chi non dovrebbe mai mancare nella sua squadra?

«Andrea Belotti, lo conosco fin dai tempi delle giovanili dell'Albinoleffe. Datemi lui in attacco e posso sfidare chiunque».

Belotti è il nuovo Vialli?

«È uno che ha sofferto più di Vialli per diventare quello che è, e quello che sarà».

Cosa significa vincere contro il Real Madrid?

«Era il 15 aprile 1992. All'andata a Madrid il nostro pullman venne preso d'assalto dai tifosi spagnoli. Ci insultarono per tutta la gara. Diciamo che a Torino regolammo i conti. Eravamo un gran bel Toro. Perdemmo, con due pareggi, la finale con l'Ajax e ovviamente non eravamo soddisfatti. Però i giornalisti commettono sempre lo stesso errore».

Quale scusi?

«Si dimenticano la vera impresa, con l'Atalanta, in serie B, che arrivò in semifinale di Coppa delle Coppe. Eliminammo lo Sporting Lisbona, e ci fermammo solo di fronte al Malines, all'epoca il Milan del Belgio».

Novara è l'atto

conclusivo della sua carriera?

«La malattia non mi permette di essere al 100% e se non sei al massimo non puoi buttarti nella mischia. Mi consolo con quelle cinque cose terribili che mi hanno tolto dallo stomaco».

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