Uno spreco chiamato Fao 800 milioni di bilancio divorati dalla burocrazia

Circa la metà delle spese finisce nella gestione della struttura: ben 18 milioni solo per la sede di Bangkok, la più costosa

da Roma

La Fao spenderà 784 milioni per la fame nel mondo nel biennio 2008-2009. Ma quanto denaro arriverà ai 5 milioni di bambini sotto i 5 anni che rischiano di morire per malnutrizione?
Circa la metà delle spese dell’agenzia Onu se ne va nella gestione della struttura. Lo dice il recente rapporto di un comitato di valutazione esterna commissionato dalle Nazioni Unite: 470 pagine su presente e futuro dell’agenzia con sede a Roma. Scrive la commissione Christoffersen: «In molti uffici i costi amministrativi sono superiori ai costi del programma». Ma la sproporzione tra spese di struttura e spese operative si legge anche dalle voci di bilancio. Qualche esempio: per la sicurezza alimentare, tema al centro della conferenza che partirà oggi a Roma, la Fao prevede uno stanziamento di 59 milioni di euro, per l’«ufficio del direttore generale», 41,5 milioni di euro. La struttura che lavora a stretto contatto con Jacques Diouf costa più di 9 milioni. Ma ne sono esclusi l’ufficio «di coordinamento e decentralizzazione» (7,1 milioni di euro), l’ufficio legale (5,3 milioni di euro), l’ufficio del programma e della gestione del budget (altri 11 milioni).
Complessivamente, le voci del bilancio Fao strettamente alimentari, in cui compare la parola cibo, «food», sono tre, per un totale di 90 milioni di euro, circa il 15% del bilancio generale. Queste voci «mirate» sono i 59 milioni per sicurezza e «riduzione della povertà», 1,2 milioni di euro per «emergenze e gestione post-crisi», 29 milioni per «politiche dell’alimentazione e dell’agricoltura».
Ci sono poi una serie di spese per conservazione e gestione del pesce, del legno, della carta, delle sementi, lo sviluppo della tecnologia: per tutte queste attività, strettamente legate allo scopo dell’agenzia, la Fao spende 219 milioni di euro.
Ha un costo anche la «conoscenza»: studi, statistiche, «alleanze» contro la fame, a metà strada tra lo «scopo» e la gestione: sono altri 200 milioni circa. Ma proprio questa parte del bilancio è piuttosto criticata dal rapporto di valutazione esterna: capita spesso alla Fao, si legge nel dossier, che «tecnici specialisti non possono viaggiare per mancanza di fondi destinati ai viaggi». In pratica si studiano progetti che poi non possono essere condotti sul campo. La sede locale più costosa è quella di Bangkok (18 milioni di euro).
Nel bilancio ci sono poi tutti i costi per il personale, per le riunioni: altri 200 milioni di euro circa. Più di 7 milioni di euro se ne vanno in «meeting e protocollo», 17,6 milioni si spendono per la comunicazione, 20,2 milioni per «il coordinamento e la decentralizzazione dei servizi». Ma non se ne occupava l’ufficio del direttore generale? Lo spacchettamento delle competenze è uno dei gravi problemi della Fao. Si legge dal rapporto Christoffersen: «La burocrazia della Fao è molto costosa e farraginosa e si caratterizza per un elevato livello di sovrapposizione e di duplicazione degli sforzi». E nonostante i 20 milioni di euro spesi solo per «coordinare», il dossier nota che «le relazioni tra le attività sul campo e la sede sono gravemente frammentate».
Nei giorni scorsi il presidente del Senegal Abdoulaya Wade aveva creato scalpore con la sua dichiarazione: la Fao deve chiudere.

Qualcuno sostiene che sia uno spot politico in vista delle elezioni, ma già a fine 2007 i «supervisori esterni» avevano scritto che il rischio c’è, se non si cambia passo: «L'organizzazione si trova in una crisi che pone in pericolo il suo futuro».

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