Stipendi bassi e divorati dalle tasse: allarme lavoro

In Italia paga oraria nella media, ma prelievo fiscale da record: 47,8%. Sorpresa: uomini e donne guadagnano quasi uguale Aumenta la differenza tra Nord e Sud

Stipendi bassi e divorati dalle tasse: allarme lavoro

La cosa peggiore che può capitare ad un lavoratore non è essere pagato poco. È essere pagato poco per colpa delle tasse. È quello che succede in Italia: siamo il quinto Paese tra quelli Ocse per tasse sul lavoro ma siamo l'undicesimo in Europa per paga oraria. Partiamo dalle tasse. Il sito di datajournalism Truenumbers.it ha elaborato i dati ufficiali dell'Ocse secondo i quali il prelievo sulla busta paga del lavoratore, nel 2016, è pari al 47,8%. La differenza rispetto alla media è di ben l'11,8%. Prima di noi ci sono il Belgio, la Germania, l'Ungheria (che ha un sistema fiscale spostato sulla tassazione del lavoro e molto meno sulla tassazione delle imprese) e la Francia. Tutti Paesi, Ungheria esclusa, con un welfare molto più sviluppato del nostro, dove esistono inventivi per la famiglia, sussidi per il disoccupato, per lo studente o per la donna incinta. Tutti interventi di welfare che da noi non esistono o esistono in misura talmente limitata da non poter essere definito «welfare» ma, piuttosto, interventi spot a fini elettorali. Tipo il bonus degli 80 euro.

A fonte di tasse così stratosfericamente alte, ci sono le retribuzioni troppo basse. Secondo l'Eurostat, nel 2016 un'ora di lavoro in Italia è stata pagata mediamente 27,50 euro. Per dare l'idea della sproporzione dei due numeri, basti dire che siamo quinti su 35 Paesi Ocse in quanto a tassazione sulla busta paga e siamo undicesimi su 27 in quanto a retribuzione media oraria. Difficile non accorgersi che l'emergenza italiana è proprio la differenza tra questi due dati. Ed è difficile sostenere che la Finanziaria del governo Gentiloni ne prenda atto. In realtà sorvola su questi dati accontentandosi, come il suo predecessore Renzi, di elargire mancette para-elettorali a gruppi specifici di persone. Ovvero: a ridurre, temporaneamente, il costo del lavoro solo per giovani con date caratteristiche anagrafiche o territoriali, escludendo tutti gli altri. E creando, quindi, l'ennesima disparità sul mercato del lavoro, non basata sul merito ma su caratteristiche indipendenti dalla volontà del singolo. Che colpa ha un 36enne di avere 36 anni che non consentono all'azienda che lo volesse assumere di accedere agli sconti fiscali riservati ai 35enni?

E mentre il governo si impegna a creare nuovi ghetti nel mercato del lavoro, lo stesso mercato del lavoro ha eliminato quella che passa per essere la più grande delle ingiustizie: la differenza di retribuzione tra uomo e donna. A guardare i numeri dell'Eurostat, diffusi dalla Commissione europea, la differenza di retribuzione esiste, ma l'Italia è uno dei Paesi della Ue dove è meno ampia: il 6,7%. In Germania, che della parità uomo-donna ha fatto quasi una religione, una donna viene pagata mediamente il 22,4% in meno rispetto ad un uomo; in Finlandia il 19,4%, in Gran Bretagna il 19,1% e in Svezia il 15,9%, più del doppio rispetto all'Italia.

La vera, unica, enorme differenza è un'altra: quella tra Nord e Sud. Il grafico in queste pagine mostra quali sono le prime 10 province italiane dove la retribuzione media è più alta e le 10 dove è più bassa. Tra le prime 10 la più meridionale è Roma (in decima posizione), dove la retribuzione media annua è di 30.685 euro, mentre tra le ultime 10 non ne esiste nemmeno una del Nord. La provincia dove la paga media è più bassa è Lecce con 23mila euro l'anno e quella dove è più alta è Milano con 34.414.

Chi, invece, non ha questi problemi sono i banchieri. Si sarebbe potuto supporre che la crisi finanziaria iniziata nel 2009 avrebbe tagliato le unghie all'esosità delle grisaglie europee, ma non è così. Il numero di banchieri che in Europa guadagnano più di un milione di euro è passato da 3.427 del 2010 a 5.142 del 2015, ultimi dati resi disponibili dall'Eba, la European Banking Authority.

In Italia il trend è identico. Nel 2013 erano 138, nel 2014 sono diventati 153 e nel 2015 si è toccato il record di 174. Significa per molti la crisi è già finita. Anzi, per le buste paga dei banchieri, in realtà, non è nemmeno mai iniziata.

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