da Hsipaw (Myanmar)La geografia spesso cambia. E cambiando rende inutili vie di collegamento che per alcuni periodi sono state fondamentali per la sopravvivenza stessa di un territorio. Poi la storia fa le sue giravolte e quelle stesse strade abbandonate per decenni tornano ad essere arterie vitali. È il caso della Burma road, la strada costruita dagli inglesi e dai nazionalisti cinesi di Chang Kai-Shek alla fine degli anni Trenta. Assediati dai giapponesi che avevano conquistato tutti i porti della costa, i nazionalisti cinesi avevano disperato bisogno di rifornimenti: questa, attraverso le foreste, era l'unica via praticabile. Tra il 1937 e il 1938, tra indicibili sofferenze, 200mila lavoratori costruirono una striscia di asfalto che attraversa le dense montagne tropicali al confine tra Cina e Birmania: 1.154 chilometri tagliati nella boscaglia malarica da Kunming, nello Yunnan, fino a Lashio, nel nord dello Shan, a un paio di ore d'auto da Hsipaw. Qui le merci scaricate al porto di Yangon arrivavano via ferrovia, sfruttando il collegamento ancora oggi esistente con Mandalay. Durante gli anni della Guerra fu un'arteria vitale, che permise ai nazionalisti cinesi di resistere all'assedio giapponese. Finito il conflitto, quando la Birmania divenne indipendente e i generali la condannarono ad anni di splendido isolamento, venne abbandonata. Questa remota parte del Paese divenne il regno dei trafficanti di oppio, delle milizie insurrezionaliste che fanno capo alle varie bellicose minoranze e dei signori della guerra che dettavano legge nel Triangolo d'oro: spesso i capi dei trafficanti, i generali dei miliziani e i signori della guerra erano la stessa persona. Dall'inizio degli anni Duemila la Burma road sta conoscendo una rinascita. Il boicottaggio occidentale per anni ha spinto la Birmania nelle mani di Pechino, i cui governanti non stanno certo a guardare se vengono rispettati i diritti umani quando c'è da fare affari. E la problematica Birmania è di certo un grande affare. Lungo quest'asse terrestre è iniziata la penetrazione dei cinesi verso quello scrigno di preziose materie prime incastonate sul territorio del Myanmar. Giada, pietre preziose, teak in grandi quantità prendono la via della Repubblica Popolare, mentre lungo il lato birmano della strada si vedono scendere grossi camion carichi delle mercanzie cinesi che hanno inondato i mercati di città e villaggi. Se un motorino giapponese costava anni di stipendio ed era difficile da avere a causa del blocco, l'equivalente cinese costava un decimo e serviva allo stesso scopo. Così fino a Mandalay la presenza dei commercianti cinesi è sempre più invasiva e visibile, lo racconta anche lo storico Thant Myint-U in un bel libro, Myanmar dove la Cina incontra l'India, tradotto di recente in italiano. I commerci più redditizi sono in mano loro, le guesthouse e i ristoranti che servono i nuovi turisti anche. A Mandalay controllano il ricco business dei generatori di corrente, vitale in un Paese che soprattutto nella stagione calda è soggetto a frequenti tagli di energia. Adesso il governo di Pechino, con la sua solita politica di opere faraoniche in cambio di materie prime, sta progettando di ricostruirla in grande stile affiancandovi anche una ferrovia. Nei suoi progetti Pechino punta a costruire grandi porti sul golfo del Bengala dove far arrivare il petrolio mediorientale, tagliando fuori gli stretti malesi e accorciando il viaggio verso le città della Cina occidentale. Ma dopo l'apertura l'abbraccio con Pechino è stato allentato e i progetti si sono fermati. Per gli occidentali la Burma road è ancora off limits. Qualcuno c'è riuscito. Ma l'apertura del confine per i non locali è a singhiozzo.
E queste zone sono sempre soggette a periodiche recrudescenze dei combattimenti tra l'esercito e le milizie etniche, per cui basta una piccola scaramuccia e tutto viene bloccato per mesi. La geografia spesso cambia, ma non per tutti.Tino Mantarro- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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