Tasse, indipendenza e laicità: la lezione di Thomas Jefferson

Una critica feroce contro le ingerenze statali nella nostro vita

Tasse, indipendenza e laicità: la lezione di Thomas Jefferson

È difficile ritenere Thomas Jefferson un campione del liberalismo classico, come lo intendiamo noi. E non tanto o non solo per le sue posizioni equivoche sullo schiavismo americano. Un grande uomo politico è comunque figlio dei suoi tempi. Ma proprio per questo quando si leggono le sue posizioni autarchiche e pseudo fisiocratiche (l'economia non può che basarsi sui sani e indistruttibili principi dell'agricoltura, contrapposti a quelli corruttivi dell'industria) e si mettono in relazione al contemporaneo Adam Smith, beh insomma per noi la scelta è facile: e come ben sapete cade sullo scozzese.

Fatta questa lunga premessa c'è però da dire che il Jefferson politico è un fantastico esempio di combattente liberale. La terra appartiene ai viventi è una preziosa e contenuta antologia edita da Mimesis (a cura di Luca Gallesi) in cui con intelligenza si seleziona il pensiero del terzo presidente degli Stati Uniti. Il titolo prende spunto da una lettera del Nostro a James Madison. Il punto fondamentale (ahimè quanto vero per i contribuenti del Belpaese) «è che nessun vivente può contrarre più debito di quanto sia in grado di pagare nell'arco della sua vita» che, stabilita in 21 anni la maggiore età di allora, e considerata la ridotta aspettativa di vita dell'epoca, individua in 19 anni. Il calcolo è, per gli standard di oggi, piuttosto naïf, ma l'intuizione sacrosanta è che un eccessivo debito di oggi, rischia di bruciare la generazione di domani. Più che il Jefferson economista, l'antologia ci restituisce, come dicevamo, un pensatore politico decisamente liberale. Le risoluzioni del Kentucky del 1789 sono un brillante manifesto del liberalismo costituzionale. Si tratta della difesa delle prerogative locali (gli Stati dell'Unione) contro l'arroganza e la protervia anti-costituzionale delle scelte e delle leggi centrali. Si tratta di un testo scritto limpidamente, chiaro, e di una critica feroce contro le ingerenze statali nella nostro vita: sì, certo, in questo caso era anche una difesa delle prerogative dei parlamenti, dei poteri dei parlamenti locali in opposizione al Congresso federale di Washington.

Bellissima, e per chi scrive una novità, la lettera al figlioccio Peter Carr. «Lascia perdere lo studio dell'italiano, gli consiglia, è una lingua deliziosa, ma - dice Jefferson - visto come va il mondo e i nostri interessi ti sarà più utile lo spagnolo».

E i consigli sulla religione sono lucidamente laici: hai l'età per iniziare a studiarla, ma «osa mettere in discussione anche l'esistenza di un Dio; perché se ce ne è uno, egli approverà maggiormente l'omaggio della ragione, piuttosto che quello della cieca paura». Un inno contro la superstizione e una cultura del dubbio e del rispetto che permea tutto il liberalismo del terzo presidente americano.

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