Due sacerdoti, per di più fratelli, che si fanno la guerra. Senza esclusione di colpi. Denunce pesantissime da una parte e dall’altra. Accuse quasi incredibili che hanno spaccato in due una solidissima e ricchissima famiglia dell’alta borghesia milanese. È una storia cupa quella che affiora dalla carte depositate al tribunale di Milano. Una vicenda ancora più sconvolgente perché al centro dell’intrigo sembra esserci un personaggio di altissimo spessore: il vescovo Carlo Maria Viganò, l’ex segretario del Governatorato che papa Ratzinger con un gesto discusso ha rimosso, spostandolo però ad un altro incarico di primissimo ordine: quello di nunzio a Washington.
Viganò, a leggere i documenti nella disponibilità del Giornale, avrebbe manovrato addirittura per dimostrare che il fratello Lorenzo, sacerdote e biblista di fama, era una persona debole di intelletto, ormai nelle mani di familiari rapaci come avvoltoi. Così negli atti di questo doppio dramma in tonaca si trova una denuncia firmata dal vescovo per circonvenzione di incapace. Ma nella denuncia di Lorenzo si scopre che sarebbe stato il vescovo e solo lui a gestire gli ingenti beni che la coppia aveva in comune e sarebbe stato sempre lui a dargli molto, molto meno di quello che gli spettava. Il monsignore - come si ricava dall’archiviazione del suo esposto - avrebbe fabbricato l’immagine distorta di un fratello dalla mente oscurata e facilmente raggirabile.
Tutto falso. Tanto che in questa faida familiare arriva l’immancabile colpo di scena: Lorenzo, descritto dal vescovo come un figura facilmente suggestionabile se non un povero mentecatto, si presenta a palazzo di giustizia, si fa interrogare, tiene testa al pm che sbalordito gli pone le domande, costringe la procura a correre verso l’archiviazione della penosa vicenda.
Insomma, anche se il quadro non è ancora completo e il finale di questa intricata vicenda deve ancora essere scritto, quel che affiora alimenta qualche dubbio sulla trasparenza assoluta della figura di monsignor Viganò, oggi al centro di un clamoroso caso mediatico che nulla ha a che fare con la faida familiare. È stato infatti nei giorni scorsi il programma di La7 «Gli intoccabili» a far esplodere il caso e a portare alla luce la lettera che Viganò aveva scritto al papa il 27 marzo 2011. Allora il monsignore era ancora segretario del Governatorato vaticano e in quella missiva chiedeva di non essere rimosso. Viganò aveva tagliato e risanato i bilanci del Governatorato(da un deficit di 7,8 milioni a un utile di 34,4 milioni) e per questo, per il suo coraggio, si sarebbe fatto molti nemici in Vaticano.
Ieri il Fatto quotidiano ha rincarato la dose e Marco Lillo ha svelato un’altra lettera di Viganò, questa volta al segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui il vescovo se la prende con i suoi nemici interni alla Chiesa, si difende con le unghie e con i denti, chiama in causa perfino il Giornale accusandolo di aver messo in circolazione notizie false sul suo conto. La battaglia di monsignor Viganò s’infrange contro la decisione del Papa che ad ottobre, tre mesi fa, lo toglie dal Vaticano e lo sposta negli Usa. Viganò è sconfitto, ma ottiene un posto di grande prestigio.
Quel che nessuno conosce è però la battaglia furibonda che si combatte fra le mura di casa. Una grande casa borghese, quella dei Viganò, famiglia storica di industriali che hanno fatto le loro fortune nel mondo della siderurgia. Sono otto fratelli e sorelle, i Viganò. Due di loro però sviluppano un legame speciale: sono don Carlo Maria, classe 1941, e don Lorenzo che invece è del ’38. I due hanno scelto in gioventù la strada del Signore e hanno stabilito di mettere in comune le rispettive quote del patrimonio familiare. Si tratta di beni per un valore di almeno trenta milioni di euro, ma la stima sarebbe per difetto.
Solo che Carlo Maria e Lorenzo hanno anche profili e temperamenti assai diversi: il primo è un personaggio carismatico, autorevole, capace di muoversi fra i Sacri Palazzi con il piglio del manager. Lorenzo è invece uno studioso puro, passa le sue giornate chino sui libri, da molti anni si è trasferito negli Stati Uniti e conduce un’esistenza appartata e discreta. Nel 1996 però il sacerdote viene colpito da un ictus che lo inchioda su una sedia a rotelle. La mente per fortuna resta integra e il prete continua a studiare e a sfornare libri. I soldi però non gli bastano più: ha bisogno di risorse economiche più importanti per vivere dignitosamente ora che è menomato nel fisico. Per questo si rivolge a Carlo Maria che tiene i cordoni della borsa dall’altra parte dell’oceano. È l’incipit di questa storia.
Il resto lo racconta don Lorenzo nella denuncia presentata alla procura di Milano il 7 aprile dell’anno scorso: «Tutte le somme e frutti della comunione sono sempre stati versati sui conti correnti intestati al solo Carlo Maria Viganò, anche perché io mi accontentavo di prelevare dal conto corrente a lui intestato gli importi di cui necessitavo...attraverso una carta di credito». Poi la musica cambia: «Ho chiesto a mio fratello di avere autonome disponibilità liquide senza dover fare a lui di volta in volta la questua per disporre delle somme che, nella misura del 50 per cento, erano e sono anche mie».
Iniziano lunghe e accese discussioni. Finalmente il 13 ottobre 2008 sul conto di don Lorenzo viene accreditata la somma di un milione di euro. Ma l’incertezza continua: di lì a poco il gruzzolo gli viene tolto, «con la complicità di una banca (forse fin tropo compiacente) e con la collaborazione» di un altro fratello. La famiglia è irrimediabilmente divisa, la faglia corre e separa gli uni dagli altri come nelle saghe amare di tante dinastie. Don Lorenzo ormai non crede più alla buona fede del fratello, gli revoca la procura, cerca di sapere che fine abbia fatto la sua parte del patrimonio. Ma è una discesa in un antro buio che non si riesce a illuminare: «Carlo Maria non si è mai degnato di fornire alcun chiarimento e gli unici contatti di quest’ultimo e di taluni miei fratelli sono stati improntati, da un lato, a cercare di spaventarmi con subdoli e fantomatici avvertimenti minacciosi, poi ad invitarmi a sottoscrivere una divisione completamente iniqua». Tutti i tentativi di avere notizie sull’ammontare del tesoro di famiglia vanno a vuoto.
In contemporanea in procura ha bussato anche il vescovo. Che firma una denuncia contro ignoti: ma nel mirino c’è la sorella Rossana che avrebbe sfruttato la malattia del fratello per mettere le mani sul famoso milione. In sostanza, nell’atto il vescovo si considera vittima insieme al fratello sacerdote della perfidia di Rossana, di fatto sospettata di circonvenzione di incapace. Il pm fa di tutto: interrogatori, acquisizione di carte, perfino intercettazioni. Ma non trova nulla che possa confermare il terribile sospetto. Anzi, Rossana dà tutta un’altra versione: il milione le era stato prestato dal fratello per comprare una farmacia; d’altra parte Rossana spiega che don Lorenzo è nel pieno possesso delle sue facoltà intellettuali, porta in procura alcuni suoi libri recenti, insomma non può aver approfittato di lui. Il pm continua a scavare, ma non trova appigli alla sua tesi.
Anzi, il 22 giugno scorso ecco che davanti a lui si siede il presunto infermo, arrivato da Chicago. Il pm lo ascolta, poi chiede l’archiviazione: «Deve escludersi la sussistenza nel Lorenzo Viganò di uno stato di infermità o deficienza psichica, anche nella forma di una incisiva menomazione delle facoltà di discernimento, di determinazione volitiva e capacità di giudizio, su cui si è innestato un intervento suggestivo da parte degli indagati..Lo stesso confermava inoltre di aver spontaneamente deciso di effettuare un prestito alla sorella... Chiariva altresì le origini e le ragioni dei dissidi esistenti con il fratello Carlo Maria». Il 12 dicembre scorso il gip archivia.
La circonvenzione d’incapace non c’è stata. Don Lorenzo ha smentito il fratello vescovo e ha confermato il racconto della sorella Rossana. Ai misteri del Vaticano si aggiungono le torbide trame di casa Viganò.
Ora è la querela di don Lorenzo ad andare avanti. Lui, con toni apocalittici, afferma: «Non ritengo più umanamente possibile continuare a sopportare le angherie di soggetti che fanno finta di indossare le pelli di agnelli dissimulando la loro vera natura di lupi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.