«La Traviata» di Zeffirelli conquista Santander

L’allestimento ideato dal regista per Busseto riproposto al festival spagnolo con la Toscanini diretta da Stefanelli. Convincenti le prove canore

Pietro Acquafredda

da Santander

Certamente Santander non sarà mai come Salisburgo, sia per la sua posizione marginale rispetto all’Europa con affaccio sull’Atlantico, sia perché non può vantare analoga storia millenaria, e sia, infine, perché non vi è nato Mozart. Ma, come Salisburgo, Santander ha un ricco e titolato festival internazionale, inaugurato con una bella Traviata importata dall’Italia e, in più rispetto a Salisburgo, un rinomato Concorso pianistico, intitolato alla mecenate Paloma O’Shea.
Anche Santander ospita grandi interpreti: dalla Urmana a Diego Florez, da Barenboim a Masur a Dutoit; orchestre prestigiose: London Philharmonic, Orchestre National de France, West-Easten Divan Orchestra; ma per l’opera sembra rivolgersi - come una scelta costante - direttamente alla patria del melodramma, specie se si ha intenzione di presentare Verdi. La serata inaugurale, tutta italiana, ha ospitato La Traviata di Verdi, in quell’allestimento davvero speciale che Zeffirelli concepì nel 2002 per il minuscolo Teatro di Busseto e che da allora ha fatto il giro del mondo - almeno un centinaio le repliche, fra Italia, Mosca, Tel Aviv, Siviglia - quasi sempre con i complessi della Fondazione Toscanini per la quale quell’allestimento fu ideato. La piccola Traviata si disse allora, con espressione riduttiva ma rivelatasi poi errata, avendo a mente lo Zeffirelli cinematografico ed anche operistico di tutt’altra maniera, tempra e ricchezza. Quella fu una scommessa. Zeffirelli riuscì a costruire una scena «psicologica» più che fisica, riducendo quest’ultima all’essenziale, il che la rese più maneggevole e più facilmente trasportabile e lavorando, come fa un geniale regista di cinema e teatro, sui protagonisti che finalmente recitano. Un interno, alcova, sala da ballo, salotto, camera da letto; un fondo mutevole che suggerisce città o campagna; e, al centro, una pedana sormontata da un cilindro trasparente che si apre e chiude, un po’ ingresso ed uscita, un po’ prigione, per un dramma intimo, segnato dalla morte. Naturalmente senza rinunciare e certe sottolineature di stupefacente bellezza, come quando alla fine del second’atto, dopo l’affronto del suo uomo, Violetta compare in abiti di immacolato candore a professare coram populo il suo amore per Alfredo.
La Fondazione Toscanini che la fece debuttare sotto la bacchetta di Domingo, l’ha affidata, in tutti questi anni, alle sollecite cure del direttore Massimiliano Stefanelli, al quale dobbiamo un Preludio orchestrale di rara intensità; ed una attenta guida dei cantanti, certo di gran nome, ma nello stesso tempo attenti alle infinite attendibili sollecitazioni del podio.


Svetla Vassileva è stata una Violetta di grande intensità e partecipazione, voce rotonda ed intensa, da manuale il terz’atto; Alfredo aveva la voce squillante e l’ardimento tutto giovanile di Roberto Aronica; mentre Germont padre si esprimeva con il bel timbro e la composta presenza scenica di Giovanni Meoni; ottime Katarina Nicolic (Flora) e Paola Leveroni (Annina); di grande impatto le coreografie spagnole di El Camborio, per la festa in maschera in casa di Flora, al second’atto. Pubblico soddisfatto e tanti applausi.

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