Roma - È il grande vecchio del cinema, non solo italiano. «Va bene, ma usi le minuscole», scherza al telefono. Oggi Tullio Pinelli compie un secolo, anticipando di sei mesi il portoghese Manoel de Oliveira, che cent'anni li compirà l'11 dicembre. Drammaturgo, scrittore di racconti e libretti d'opera, soprattutto sceneggiatore: di Fellini, certo, ma anche di Lattuada, Germi, Monicelli, Cavani. Alla «maratona» organizzata dalla Cineteca nazionale alla sala Trevi, in coincidenza con l'uscita del volumetto Ciò che abbiamo inventato è tutto autentico, agile raccolta di lettere spedite da Fellini al suo amico (Marsilio, 9 euro, a cura di Augusto Sainati), il pimpante centenario non sarà presente. «Sa, non mi muovo più tanto di casa, esco poco la sera. Però seguo, seguo da lontano», scandisce l'avvocato che lasciò Torino per fare il cinema a Roma.
Come festeggerà?
«Un bicchiere di spumante e un pranzo in famiglia con figli, nipoti e pronipoti. Mangio ancora volentieri, domenica mi sono gustato un piatto di trippa. Ovviamente sono contento di questi omaggi, che vivo con distacco e riconoscenza. Scopro in questi giorni che la gente dice di me cose gentili. Meglio di quanto pensassi. Mi auguro solo che l'esser vecchi non sia un merito. L'età è quella che è, me la tengo. Grazie a Dio, riesco ancora a scrivere e leggere, le gambe reggono, la memoria pure».
Nelle lettere ora pubblicate, Fellini la chiama nei modi più affettuosi: Tuglino, Tullietto, vecchio Pinellino, vecchissimo conte...
«Federico amava i vezzeggiativi. Ribattezzava tutti. Giulietta Masina era la sua “patatina”, Mastroianni “Snaporàz”. Tra me e Federico c'è stata una grande amicizia. Ci si intendeva, specie nei primi tempi, che sono durati vent'anni. L'ho conosciuto nelle cose migliori e in quelle meno belle. Insieme abbiamo fatto film riusciti, mezzi film, film scritti per altri, film rimasti nel cassetto. Per anni la nostra è stata una frequentazione giornaliera: di solito si andava alla “Casina delle Rose”, a Villa Borghese - la mattina era deserta - a parlare di spunti, storie, posti da vedere e di donne, soprattutto, perché Federico aveva molte avventure».
La leggenda vuole che vi siate conosciuti per strada nel 1946, a un'edicola di piazza Barberini, mentre leggevate i due lati opposti di uno stesso giornale.
«Vero. Il sodalizio nacque quasi subito. Io stavo lavorando con Coletti per Il passatore, Fellini con Lattuada per Il bandito. Solo che Federico era preso da un altro progetto, così mi presentò a Lattuada e lasciò il suo posto a me. Per ricambiarlo, lo associai al mio film».
Questa storia di Fellini che leggeva poco...
«Ma è così! S'è messo a leggere dopo. Quando ci siamo conosciuti era un ragazzotto senza preparazione culturale. Nel 1946 io avevo già fatto teatro, possedevo due lauree, un bagaglio di letture: Novelli, Maupassant, Gozzano, Whitman...».
Con Fellini lei ha scritto classici come I vitelloni, La strada, Il bidone, Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8 e ½. Poi il sodalizio ricominciò con Ginger & Fred. Avete mai litigato?
«Spesso, poi passava. Flaiano no, se la prendeva, alla fine la loro amicizia si ruppe. Sul piano personale ho un ricordo doloroso. Quando La strada fu premiato a Venezia, Federico ringraziò tutti, ma proprio tutti, ma di me non disse una parola. L'episodio si ripeté alla conferenza stampa del Bidone. Quella volta Flaiano si infuriò davvero. Federico mi chiese scusa per lettera. “Senza di te sarei perduto”, scrisse».
Lei e la commedia. Amici miei era stato pensato per Germi, che morì. Così il progetto passò a Monicelli.
«Germi aveva in mente qualcosa di più sentimentale e malinconico. Monicelli, regista tosto e refrattario agli stimoli, preferì premere sul pedale dell'ironia e della beffa. Amici miei fu un successo, ma continuo a trovare più profondo I vitelloni. Sebbene abbia anch'io temperamento goliardico».
Andò meglio con Speriamo che sia femmina?
«Tra le commedie che ho scritto resta la migliore: parere personale. Molti produttori non volevano farlo, Monicelli tenne duro. Sa che l'idea mi venne dopo aver visitato, in Toscana, una fattoria gestita esclusivamente da donne?».
Dino Risi.
«Mi dispiace che se ne sia andato. Faccio mia una delle frasi che gli piaceva ripetere. Credo fosse di Conrad. “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. Perfetta».
Vede ancora molti film?
«In dvd.
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