"Da quando abbiamo iniziato la jihad, tutte le donne portano il velo, anche le bambine. E, da quando amputiamo la mano destra ai ladri, i furti sono finiti". Omar Ould Hamaha, leader jihadista nel nord del Mali ammazzato dalle forze speciali francesi nel 2014, è solo una delle tantissime voci che danno vita al documentario denuncia realizzato da François Margolin, regista e produttore cinematografico, e Lemine Ould Salem, giornalista della Mauritania. Si intitola Salafistes e denuncia gli orrori dell'islam radicale. Ma questa denuncia rischia di rimanere strozzata dal governo di François Hollande.
La strage di Charlie Hebdo non ha insegnato nulla ai francesi. A poco più di un anno da quella mattanza, Hollande non è più Je suis Charlie. Se ne dev'essere dimenticato quando ha messo all'indice il film di Margolin. Un film che, nei suoi tre anni di riprese, racconta lo scempio del salafismo, matrice ideologica del jihadismo, in Iraq, Algeria, Tunisia, Mauritania e Mali. Proprio a Timbuctù e Gao, città nel Nord del Mali, sono state riprese le frange dell'Aqmi, l'al Qaeda del Maghreb. "L'uomo è ribelle per natura alla volontà divina - spiega Hamaha nel film - per questo va sottomesso con la forza". Quello che la Francia si è trovata a produrre è un docu-film che denuncia ad alta voce i mali dell'islam. Eppure per molti fa soltanto il gioco dei terroristi. Tanto che, dopo gli attentati del 13 novembre, la Francia si è messa a decidere cosa sia giusto e appropriato che i propri cittadini vedano al cinema. Prima è toccato a Made in France, il film di regista Nicolas Boukhrief che racconta la storia di un giornalista musulmano infiltrato in una cellula jihadista parigina che si appresta a compiere attentati nella capitale, ora al documentario di Margolin e Ould Salem. In entrambi i casi l'accusa è di non avere uno sguardo critico né sul processo di radicalizzazione né sul jihadismo.
"Salafistes è violento e ambiguo ha scritto Le Figaro - flirta con l’apologia del terrorismo". Dopo un infuocato dibattito, la commissione pubblica che valuta se un film può essere visto ha deciso di vietarlo a minori di 18 anni. I ministro della Cultura Fleur Pellerin ha sottoscritto il divieto. "E - denuncia Margolin - ha criticato nero su bianco il modo in cui abbiamo fatto le interviste e come abbiamo montato il documentario. Sembra di essere ritornati all'Unione Sovietica". France 3, la tv pubblica che ha finanziato il documentario, ha infatti deciso di non trasmetterlo e in tutta Parigi solo due cinema marginali hanno ordinato la pellicola. "Con quelle persone (i salafiti, ndr) non si sa mai come va a finire - tuona Margolin - e ora c'è addirittura che ci accusa di metterli in scena, di fare il loro gioco. Il problema è che loro sanno tutto di noi. Spesso hanno vissuto anni e anni in Europa. Guardano le nostre televisioni - noi, invece, di loro, non sappiamo nulla - continua il regista - questo documentario poteva essere l'occasione per conoscere quella realtà, nuda e cruda". Ma molti lo accusano di essere una sorta di "apologia del terrorismo". "Nessuna spiegazione del terrorismo è ammissibile - aveva tuonato il primo ministro Manuel Valls - perché tentare di darla significa già un po' scusarlo". Le autorità stanno, infatti, considerando la possibilità di vietare conferenze e dibattiti dedicati all'islamismo radicale. "Il nostro scopo è di mostrare che il salafismo è una vera ideologia, potente e in espansione, diffusa non da imbecilli, ma da gente istruita che, pacatamente, distorce il senso dei testi sacri per giustificare le proprie imprese mortifere", spiega Margolin che nel documentario anche inserito diverse immagini di propaganda dello Stato islamico. "L’idea è di mostrare come passano dalla teoria alla pratica - ha concluso - siamo di fronte a un fenomeno mondiale che ci minaccia tutti. Meglio tentare di comprenderlo che nascondere la testa nella sabbia" .
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.