Annie Le avrebbe dovuto sposarsi domenica, a Long Island, ma una settimana fa era scomparsa, inghiottita dal prestigiosissimo ateneo di Yale, in cui lavorava come ricercatrice. Era entrata, un giorno di lavoro come gli altri, cinque giorni prima delle nozze, ma non era mai uscita. Fino a ieri, quando è stata ritrovata dalla polizia dopo ore di indagini serrate, dentro un'intercapedine di un laboratorio, senza vita. Un ritrovamento che, ammesso che qualcuno ne avesse ancora, ha messo la parola fine alle speranze di trovarla viva, o che magari la sua fosse stata solo una fuga dal matrimonio organizzata chissà come dopo che era stata vista per l'ultima volta alle 10 di mattina di martedì scorso, quanto era entrata nell'edificio di Amistad Street, al numero quattro, mentre la borsa, il telefonino e il portafogli erano ancora nel suo ufficio, a qualche isolato di distanza.
Da giorni ormai le ricerche degli agenti impegnati sul caso si erano ristrette a due aree: quella del laboratorio dell'Ateneo e quella della discarica di Hartford, dove le unità cinofile cercavano tracce del cadavere, nel timore che fosse stato incenerito. Invece, il corpo della giovane ricercatrice, una ventiquattrenne descritta da tutti come una ragazza in gamba e solare, era ancora lì, in quella stanza in cui era entrata senza uscirne mai.
E proprio quella stanza e il cadavere nascosto così bene fanno pensare che chi la ha brutalmente assassinata conoscesse bene l'edificio in cui l'ha nascosta, allontanandosi poi libero di ogni sospetto. Già, perché, ad ora, nonostante gli interrogatori condotti dall'Fbi, che ha già parlato a lungo sia con un professore che con uno studente, nessuno risulta ancora indagato o nemmeno sospettato. Eppure l’assassino potrebbe avere le ore contate. Secondo il vice capo della polizia di New Haven è stata trovata «una grande quantità di prove». Nascosti sotto alcune piastrelle c’erano infatti vestiti sporchi di sangue.
Ormai è certo che c’è un omicida che ha gettato nella disperazione una famiglia e insanguinato Yale, così diversa dagli Usa delle metropoli, dei sobborghi di New York o Detroit, così tranquilla. Yale era fino a ieri un paradiso della formazione: certo, l'ossessione per la sicurezza sviluppata negli ultimi dieci anni non l'aveva risparmiata e per questo le forze dell'ordine di New Heaven, nel Connectictut, e la polizia interna al campus tenevano la situazione sotto controllo. Al punto che Yale era ritenuto uno dei posti più sicuri per gli studenti.
Annie Le, figlia di un immigrato vietnamita, ci era arrivata dalla California, da un piccolo paese di 10mila abitanti ai piedi della Sierra Nevada, per specializzarsi in farmacia dopo la laurea in bioscienze all'Università di Rochester, dove aveva conosciuto il fidanzato Jonathan Widawsky. E in quel sorvegliatissimo campus aveva persino scritto un articolo sul giornale della scuola, proprio per spiegare come proteggersi da eventuali, remoti pericoli. Perché, in fondo, «New Heaven è una città, e tutte le città hanno dei pericoli», scriveva lo scorso febbraio. Ma nemmeno dell'attenzione supplementare è stata sufficiente, come non sono state sufficienti le 75 videocamere che sorvegliano l'edificio. Un edificio che era accessibile solo con un badge elettronico dell'Università. «Nessuno dubita che a colpire sia stata una persona interna all'Università - ha spiegato un docente di Yale, chiedendo l'anonimato -. Sembra di rivivere i drammatici giorni del dicembre 1998, quelli del delitto Jovin». Quando un altro omicidio di una giovane, Suzanne Jovin scosse l'ateneo della Ivy League. Di origine tedesca, brillante studentessa di scienze politiche, aveva 21 anni quando fu uccisa con 17 pugnalate alla testa e al collo in un elegante quartiere di New Heaven, poco distante dall'ateneo. Aveva quasi completato la sua tesi di laurea su un personaggio allora semisconosciuto: Osama Bin Laden.
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