La vera «archistar» d'Italia? Un laureato in Economia

Franco Guidi, bocconiano, dirige il primo studio d'architettura per fatturato nella Penisola. Perché il progetto si fa in squadra

di Piera Anna Franini

È l'architetto il volto di un progetto edilizio. È lui a mettere la firma su un lavoro che pure vede coinvolte una quantità di figure professionali diverse, tanto da chiedersi se il progettista autore possa davvero avere il controllo pieno sull'esito finale. La Nuvola del Centro Congressi di Roma e il nuovo polo fieristico di Milano portano dritti a Massimiliano Fuksas, guardi il Bosco Verticale e pensi a Stefano Boeri, il Centro Pompidou di Parigi va in abbinata col nome di Renzo Piano e la sede della Cctv di Pechino (la televisione di Stato) con quello di Rem Koolhaas.

Il progettista è al centro dell'attenzione pubblica, è lui la celebrità da passerella, il nome destinato a entrare nello star system. Ma chi è la star tra le archistar italiane? Criteri di valutazione ce ne possono essere molti. Uno, per quanto discutibile, è oggettivo: i soldi. Chi incassa lavora e quindi vale. Da più di 30 anni una società, Guamari, redige le classifiche dell'imprenditoria delle costruzioni. Il Report per il 2019 (The Italian Construction, Architecture and Engineering Industry) ha fatto i conti nelle tasche di 150 società di capitale che si occupano d'architettura.

VIVA L'ORCHESTRA

Si parte dalla top cinque dominata - perlopiù - da sigle nella sostanza sconosciute ai non addetti ai lavori. Ai vertici si trovano, in ordine, Lombardini22, One Works, Rpbw (di Renzo Piano), Progetto Cmr e Crew. Due le novità di quest'anno. Con un fatturato di 15,8 milioni, Lombardini22 conquista un podio che per due anni è stato di One Works (15,5 milioni), e lo Studio di Renzo Piano passa in terza posizione. Una leggenda come Renzo Piano fattura meno di chi - pur facendo meraviglie - non gode della sua notorietà? Sì, è così, se ci si limita però al giro d'affari delle sedi italiane, perché c'è un'altra classifica che raccoglie i risultati economici dei gruppi sommando i bilanci delle varie sedi nel mondo. E Renzo Piano, che è presente anche a Parigi e New York, sta in vetta. Quindi è lui la stella delle stelle che brilla anche a livello internazionale. «Di Renzo Piano ce ne sono pochi: anche nel mondo», osserva - schietto - Leonardo Cavalli, con Giulio De Carli fondatore di One Works. Il crescendo di Lombardini22 e One Works dimostra che funziona il sistema-orchestra: si aggregano più talenti, tali in diverse discipline, al servizio di una partitura condivisa. One Works si chiama così perché «si lavora» («one works», appunto) assieme. Non si esprime una posizione solo personale, ma sul modello anglosassone si parla con un tono di voce comune. «Oggi per fare progetti non è più sufficiente il talento di una persona ma servono competenze condivise e anche accessorie». Nel mondo anglosassone questo modello esiste ormai da un secolo: «Nel 1936 Skidmore, Owings and Merrill fondarono a Chicago lo Studio SOM riuscendo a coniugare il talento personale con una dimensione collettiva». A tutt'oggi quella dello Studio Som è una firma iconica. Volendo continuare con gli esempi i professionisti dello Zaha Hadid Architects sono 400 e più di mille quelli di Foster + Partner, per citare due nomi famosi.

«C'è una differenza - specifica Cavalli - SOM nacque subito con questa visione, i Foster o Hadid ci sono arrivati in un secondo tempo». In Italia, le prime due società per fatturato sono state concepite da subito come aggregato di competenze diverse, conciliando la dimensione creativa con l'aspetto industriale. Lombardini22 nasce nel 2007, al civico 22 di via Lombardini, a Milano: fin dalla denominazione è chiara l'attitudine - anglosassone o forse semplicemente ambrosiana - al pragmatismo. Tra le opere iconiche, S32 Fintech District Milano, Microsoft House di Milano e Oracle Italia a Roma. Franco Guidi, amministratore delegato della società, bocconiano, per alcuni anni ha lavorato nel management di una multinazionale delle lenti a contatto. Poi la virata verso l'architettura. Nel settore è arrivato «per una certa stanchezza verso il mondo della grande multinazionale, e mosso dalla passione per l'architettura. Ero consapevole che il mondo dei servizi sarebbe diventato predominante e che dunque mi avrebbe dato più soddisfazioni. A me piace la parte di gestione delle persone, quindi pensai che avrebbe aumentato la mia qualità della vita poter lavorare con chi stimo, con chi ha una visione e dall'alto profilo intellettuale».

All'inizio i soci erano sei: due architetti, due ingegneri e due «economisti», a loro si aggiungevano altri 14 professionisti. Ora i professionisti sono 200 e i soci sette. Una fase di rodaggio con commesse nel settore dei grandi centri commerciali, poi il portfolio di L22 si è allargato. Ora si progetta per l'hotellerie, per il residenziale, si studiano spazi di lavoro, anche collaborando con esperti di neuroscienze per generare aree in grado di soddisfare le esigenze e aspettative dell'azienda più sofisticata. L22 si è scomposta in più filoni, c'è pure un'agenzia di comunicazione, FUD, che si occupa di marketing, relazioni con il mondo immobiliare e del cosiddetto physical branding, progettando spazi fisici che comunichino la filosofia di un marchio. Poi c'è la divisione Atmos che disegna «spazi sensoriali», fatti, cioè, per sollecitare i sensi attraverso suoni, luci, colori, profumi.

MILANO E SINGAPORE

Domina un metodo multi disciplinare e multi autoriale anche in One Works: suo l'ampliamento dell'aeroporto di Venezia, gli spazi di City Life, il metro di Ryad. Dai 50 professionisti del 2012 si è passati agli attuali 150, il fatturato (del 2018) di 15,5 milioni è cresciuto tre volte tanto rispetto al 2012. La società si sta allargando nel mondo, «spesso lavoriamo in partnership con altri, in Thailandia per esempio la partnership è diventata societaria. A Chennai, in India, stiamo lavorando a 11 stazioni di metropolitana e il progetto ci ha dato una buona ragione, ancora una volta, per pensare di lavorare insieme ad altri. Non pensiamo di poter fare sempre tutto da soli, soprattutto all'estero dove può capitare ci sia una comprensione solo parziale del contesto», spiega Cavalli.

È nata così la holding One Works Asia, controllata dalla capogruppo One Works Spa. Le varie ramificazioni «soddisfano lo scopo di essere presenti sul territorio sviluppando, inoltre specifiche competenze»: a Venezia si punta sulle competenze tecnico-ingegneristiche, così come a Milano si sviluppa l'aspetto architettonico e a Londra quello urbanistico. Singapore ha ruolo di controllo delle unità locali. One Works punta a crescere nel tempo: «è una struttura che non si basa sulla presenza di una o due persone che l'hanno creata, ma ha l'aspirazione a sopravvivere ai propri fondatori. E l'unico vero elemento che suscita l'interesse di chi ci guarda e deve decidere se lavorare con noi o no, è la possibilità di crescere, secondo i criteri di un'azienda», dice ancora Cavalli.

La sua società, così come molte delle altre che figurano ai vertici della classifica di Guamari, ha sede a Milano. Una specie di Eldorado dell'architettura? Nel capoluogo lombardo gli iscritti all'albo degli architetti sono 12 mila. Un dato fuori misura, soprattutto se lo si paragona a quello di altre città. «Singapore, per dire, ha 5,6 milioni abitanti e 900 architetti.

È evidente che un architetto di Singapore ha una chance in più», ironizza Cavalli. Perché una cosa sono le punte che - con nome proprio o dello Studio - entrano nelle classifiche. Un'altra è la realtà di chi sta alla base della piramide. E dalle nostre parti la base è davvero molto ampia.

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