Viaggio a Rovegno: ecco quello che rimane della colonia degli orrori

Viaggio a Rovegno: ecco quello  che rimane della colonia degli orrori

Lasciata Genova, si prosegue sulla SS45, che porta dopo circa 100 chilometri a Piacenza, a circa metà strada, inizia la Val Trebbia, si supera il ponte sul fiume che dà il nome alla valle e si prosegue. La Trebbia è lungo circa 115 Km. È un importante affluente del Po’, e tocca le province di Genova, Piacenza e per un brevissimo tratto anche Pavia. Qui si trova un pezzo della tragica guerra civile che ha insanguinato questo lembo di Liguria.
Il piccolo comune che mi interessa particolarmente è Rovegno, ad una decina di minuti di moto dalla piazza centrale del paese, trovo un cartello giallo turistico tutto contorto ed una vecchia croce arrugginita con una emme all’incrocio dei bracci. Il cartello indica il mio obiettivo, che dista un chilometro: Colonia Montana.
È esattamente quello che cerco, la Colonia di Rovegno, meglio conosciuta come «la colonia degli orrori».
Percorro una strada dissestata, tortuosa che attraversa estesi e fitti boschi di abeti e pini, talmente fitti da sembrare impenetrabili e refrattari anche ai raggi del sole, infatti mi sembrano impregnati di oscurità, oppure è solo un’impressione. La stessa impressione che danno i cimiteri.
Arrivo in un grande spiazzo di terra battuta e mi si staglia di fronte, un enorme fabbricato, stile 900, con un grande corpo centrale e parti laterali, più alte che sembrano due torri, su di una c’è un’asta per la bandiera, tutte le finestre sono distrutte e sembrano vuote occhiaie di un teschio, sul frontale una scritta appena leggibile, Gioventù Italiana, che fa parte di un imponente ingresso con scalinata. L’interno della immensa colonia, su tre piani, è di un degrado indescrivibile, non esiste più una porta intatta, i tramezzi sono sfondati, il soffitto pende a tratti sino al pavimento, sbrecciato anch’esso, i pochi muri intatti sono ricoperti di scritte e disegni osceni ed ingiuriosi, ovunque materassi lacerati, mobili distrutti.
Ma la vera caratteristica di questa colonia è la triste parte che ha avuto, nella storia della guerra civile, dal 1943 al 1945 e, parrebbe oltre: occupata da brigate partigiane comuniste, nel tardo 44, che ne fanno un loro «santuario» dove le truppe della Repubblica Sociale Italiana non possono o non vogliono avventurarsi.
Lontana dalle vie di comunicazione, nascosta dalla vegetazione alla ricognizione aerea, facilmente difendibile, rappresenta un grande e sicuro covo per i partigiani comunisti delle brigate garibaldine della 4° zona operativa, Oreste, Arzani, Aliotta, Gramsci e Jori, tutte appartenenti alla Divisione Cichero.
Oltre che sicuro rifugio per i partigiani rossi, la colonia diventa un terribile luogo di detenzione e tortura per i civili sfollati in zona, quelli benestanti, i quali rappresentavano un ghiotto boccone per i partigiani e anche per militari della Rsi che vi vengono trascinati.
Le brigate partigiane attuano la tattica del mordi e fuggi, attaccano solo piccoli drappelli isolati di militari, li disarmano e li fanno prigionieri, quindi li portano alla colonia di Rovegno, dove inizia il percorso degli orrori delle sevizie e poi, per completare l’opera, li fucilano, lontano dal fabbricato per non fare disordine, fra i grandi boschi che circondano la colonia, i corpi vengono abbandonati nel sottobosco a marcire, a essere divorati dagli animali.
Nessuno ebbe salva la vita, civili benestanti ammazzati dopo aver dato, inutilmente, i loro averi, soldati tedeschi, militari della Repubblica Sociale Italiana, presunte spie fasciste, il piombo veniva distribuito ad insindacabile giudizio dei boia rossi.
Per anni i contadini e i boscaioli trovarono resti umani fra gli alberi. Qualcuno consegnò alle autorità i ritrovamenti, ma la maggior parte andò disperso.
La Prefettura e il Comune di Genova, emisero un comunicato nel 1946, affermando che nella foresta giacevano ben 600 morti. Penso che questa stima pecchi per difetto, vista la grande attività dei partigiani che operavano in moltissime zone: Tortona, Alessandria, Novi Ligure, Serravalle.
Una targa in bronzo, in un conteggio parziale, ricorda 160 militari caduti, italiani e tedeschi, ammazzati dai partigiani comunisti, in quel tragico sito, i soliti idioti nel 2000 la danneggiarono e la Provincia di Genova la ripristinò l’anno successivo.


Sto pensando a quelle centinaia di morti, torturati, umiliati ed ammazzati senza pietà, lasciati a marcire fra gli aghi di pino e le pigne, in grandi fosse comuni, senza una lapide o una croce, senza una preghiera e un fiore, sparsi sul terreno per la grande foresta, lontano dalle loro famiglie addolorate, mentre i loro carnefici, dopo il 25 aprile, marciavano trionfanti e tronfi per le vie delle città «liberate» ancora con le mani lorde di sangue spesso innocente.

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