Niente da eccepire. A 28 anni un qualsiasi ragazzo dovrebbe aver chiuso con le sessioni di esami, le lezioni col quarto d'ora accademico e la correzione della tesi già da parecchio tempo. Eppure una storpiatura - tutta italiana - protrarre il quinquennio universitario ad oltranza. Con i giovani che mettono le radici nei chiostri e ritardano il proprio ingresso nel mondo del lavoro. Crisi economica e opportunità a parte, impiegare un paio di lustri per laurearsi è un vizio diffuso anche nei migliori atenei del Belpaese. Proprio per questo il viceministro dell'Economia Michel Martone, durante il suo intervento alla Giornata dell’apprendistato, ha dato una sferzata agli universitari: "Bisogna dare messaggi chiari ai nostri giovani. Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato". Una dichiarazione che ha subito incassato il plauso del direttore generale della Luiss Pierluigi Celli, ma che ha anche aperto un vivace dibattito sui social network.
Si è passati dai "bamboccioni" agli "sfigati". Ma il messaggio non è poi così diverso. I giovani che restano a casa di mamma e papà troppo a lungo, nel primo caso, quelli che navigano verso i trent'anni ma che ancora non si sono laureati, nel secondo. Ed è così che la famosa sindrome di Peter Pan finisce - ancora una volta - nel mirino del governo che prova a fronteggiare le conseguenze della crisi economica smontando certe (malsane) abitudini di un Paese che tende a lasciare i giovani indietro. Già Tommaso Padoa-Schioppa, in qualità di ministro dell’Economia, aveva invitato a "mandare i bamboccioni fuori di casa". Oggi Martone ha rincarato la dose: "Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato". Tra le due dichiarazioni sono passati più di quattro anni. La situazione non è certo cambiata. Anzi, è forse peggiorata. "Essere secchioni, in fondo - ha proseguito il viceministro - non è male, almeno hai fatto qualcosa". La crisi economica ha senza dubbio accentuato il ritardo dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. I dati sulla disoccupazione giovanile (ormai al 30%) parlano di due milioni di ragazzi che non studiano e non lavorano.
La dichiarazione di Martone non dovrebbe stupire nessuno. Eppure da Nichi Vendola ai dipietristi è una levata di scudi. "Anziché gettare sentenze offensive su chi ancora studia - ha affermato il vicecapogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera Antonio Borghesi - farebbe meglio a parlare della materia che è chiamato a rappresentare e dei modi in cui il governo intende affrontare la disoccupazione". E, a ruota, il governatore della Puglia: "Conosco tanti ragazzi e tante ragazze della mia regione che si sono laureate a 23 anni. E che a 28 sono all’ennesimo lavoro precario. Non li considero sfigati". In realtà, un conto è non aver un lavoro, disagio che dipende da innumerevoli fattori (la crisi economica, il precariato, le offerte del mercato, la preparazione accademica). Tutt'altro discorso per la laurea. Perché non essere ancora usciti dall'università a 28 anni, significa essere fuori corso di parecchi anni. Il ché significa: un netto ritardo nell'ingresso del mondo del lavoro, un esborso aggiuntivo di denaro nei pagamenti delle rette e una totale mancanza di amor proprio. Le polemiche dei vari Vendola e Borghesi lasciano il tempo che trovano.
"Non ho avuto la sobrietà necessaria", ha replicato il viceministro ribadendo, comunque, che "l’età media dei laureati italiani sia molto più alta rispetto alla media dell’Unione europea". "Tutti quelli che hanno due lavori - ha aggiunto Martone - o che vengono da famiglie con situazioni difficili e riescono a laurearsi sono bravi, sono eroi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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