«Violenze sui pazienti ricoverati in psichiatria» Niguarda sotto accusa

Maria Sorbi

«Tullio è rimasto legato al letto dalle undici del mattino fino alle due di notte. Si è sentito male ma nessuno in reparto gli ha liberato né le mani né i piedi. E alla fine, dopo un numero imprecisato di ore di agonia, è morto». Il suo è solo uno dei sei casi denunciati dall’associazione Telefono Viola, che annuncia un esposto alla Procura contro alcuni presunti abusi avvenuti nei «reparti manicomio» di psichiatria dell’ospedale Niguarda tra il 2005 e lo scorso ottobre. Episodi di violenza contro i malati mentali che sarebbero degenerati in due decessi e in una serie di lesioni fisiche, anche permanenti. Oltre ai maltrattamenti, è anche da chiarire un sospetto episodio di abuso sessuale su una paziente da parte di un infermiere, per cui è già stata presentata denuncia a giugno.
Tra i casi su cui la Procura dovrà indagare c’è quello di Mohamed M., un paziente con disturbi psichici che avrebbe subìto la cosiddetta pratica dello «spallaccio», usata nei manicomi di una volta: è stato cioè legato al letto con un lenzuolo arrotolato dietro la testa che immobilizza il corpo. E questo gli avrebbe provocato la paralisi delle braccia. Telefono Viola denuncia anche il la morte di Francesco D., trasferito per una grave insufficienza respiratoria e legato, nonostante la forte dispnea che lo affliggeva, per impedirgli di fumare. In base alle testimonianze raccolte, Marinella S. sarebbe stata legata al suo «letto di contenzione» per 18 giorni e sei ore, un tempo pari ad oltre 36 volte la durata massima della contenzione fisica consigliata dai protocolli in uso.
Il Niguarda rimbalza le accuse e, in una nota firmata dal direttore del dipartimento di Psichiatria Erlicher Arcadio e dal direttore sanitario Carlo Nicora, precisa: «La pratica della contenzione fisica in psichiatria viene applicata unicamente per la sicurezza dei pazienti e degli operatori. È presente nella maggior parte dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura e non contrasta con specifiche normative». In sostanza, i pazienti vengono legati solo in casi eccezionali e comunque sono tenuti sotto controllo e monitorati ogni quarto d’ora. «Tutta la documentazione relativa ai provvedimenti restrittivi - spiegano al Niguarda - fa parte integrante della cartella clinica del paziente».
Riguardo al caso di Tullio, abbandonato a morire nel suo letto senza potersi muovere, insorge Giorgio Pompa, presidente dell’associazione Telefono Viola: «Riteniamo inammissibile che in un grande ospedale, un ricoverato debba morire in un letto del reparto psichiatrico: in un qualsiasi normale ospedale civile quando una persona ricoverata in psichiatria comincia a sentirsi male ed è in gravissime condizioni, viene immediatamente trasportata nei reparti di medicina di urgenza e di rianimazione per le terapie del caso».
Non è finita. A quanto pare alcuni pazienti sarebbero stati sottoposti a cure contro la loro volontà o senza il consenso dei parenti. Ad altri malati avrebbero somministrato farmaci a intermittenza, senza rispettare la continuità della cura. In vari casi i pazienti sarebbero stati immobilizzati al letto contraendo piaghe da decubito e infezioni. L’accusa non è di poco conto: «Al Niguarda non viene rispettata la legge 180 - denuncia Pompa - cioè la legge Basaglia del ’78 che ha portato alla chiusura dei manicomi».


Ma alla direzione del Ca Granda non risulta nessun caso anomalo tra le corsie di psichiatria. «La direzione sanitaria - conclude la nota - ha comunque disposto un’ulteriore indagine e si riserva di agire a tutela della onorabilità e professionalità dell’intera équipe del dipartimento di salute mentale».

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