Calcio

La parola d’ordine è orgoglio: la notte dei tifosi interisti a Milano

I nerazzurri giocano alla pari contro il City e sprecano tante occasioni ma vengono sostenuti per tutto il tempo dai loro tifosi che hanno riempito “San Siro”, è l’immagine più bella della serata. Dallo stadio si defluisce a testa alta, la prestazione è stata all’altezza della finale più importante e ambita

La parola d’ordine è orgoglio: la notte dei tifosi interisti a Milano

L’Inter è pazza ma i suoi tifosi lo sono ancora di più. È il cuore pulsante di “San Siro” a declinare e scandire i momenti della finale di Istanbul. Dalle 17 in poi qualunque linea della metropolitana è intasata. La fermata dello stadio è sulla linea lilla e per chi raggiunge “San Siro” da quartieri che non sono sulla stessa linea, le fermate di Garibaldi, Lotto e Zara si trasformano in crocevia nei quali radunarsi e incamminarsi verso lo stadio intonando cori di sostegno.

All’uscita della metropolitana ci si riversa immediatamente nei punti ristoro, per mangiare e bere qualcosa, prima di passare i controlli e attraversare i tornelli che accompagnano ai posti a sedere e al manto erboso trasformato in platea per l’occasione. Gli sguardi si intrecciano, si cerca sostegno reciproco perché la missione è dura e va affrontata tutti uniti, tutti insieme.

San Siro
Salvatore Stanizzi

Vi è una contestualità fra il calar del sole e l’apertura meccanica dei tornelli, in meno di quindici minuti il piazzale antistante lo stadio è diventato quasi vuoto, è il segno che la partita sta per entrare nel vivo e che non è più possibile deconcentrarsi. Anche perché il maxischermo inizia a proiettare le immagini da Istanbul e il volume si alza, in Turchia ma soprattutto a “San Siro”.

Quando mancano quaranta minuti al fischio d’inizio, iniziano a sentirsi i primi fischi di paura, a causa dell’ingresso in campo dei giocatori del Manchester City per riscaldarsi. Fischi che in poco tempo si trasformano in applausi, perché tocca ai nerazzurri entrare sul terreno di gioco per il riscaldamento. Dieci minuti più tardi è il momento della voce mentre lo speaker intona i nomi degli undici scelti da Simone Inzaghi. Ogni cognome viene intonato più forte per esplodere alla richiesta di voce dello speaker. Il tutto condito dagli incessanti cori della Inter ultras, che non abbassano mai i decibel.

Sono le 21 quando per un singolo istante cala il silenzio, è il momento del fischio d’inizio. “San Siro” è in festa, nonostante la palpabile paura di affrontare un colosso come i Citizens. Scorrono i minuti e cresce la consapevolezza di essere difronte ad un sogno, talmente candido che anche un sibilo lo potrebbe fare svanire. Ci sono genitori che stringono forti i figli, amici che si sostengono a vicenda, fidanzati che si rincuorano. Nel vedere certe scene mi ritorna in mente una frase che mio nonno era solito ripetermi quando ero piccolo: “Ai bambini non viene insegnato che i draghi esistono, questo lo sanno già. Ai bambini viene insegnato che i draghi possono essere sconfitti”. E mai frase forse potrebbe essere più azzeccata per i tifosi dell’Inter questa sera. Il primo tempo scorre e la paura viene in parte trasformata in consapevolezza di potersi giocare alla pari questa finale. Non ci sono grandi annotazioni in questi primi quarantacinque da segnalare, anche perché a 1958 chilometri di distanza non accade nulla di clamoroso. Al doppio fischio di Marciniak arriva un chiaro segnale da Milano prima ancora che dalla Turchia: l’Inter è viva e vuole dire la sua.

Passa l’intervallo, fra musica, chiacchiere, foto e sorrisi. Inizia la ripresa e ricomincia a salire nuovamente l’ansia, perché mancano solamente quarantacinque minuti, i più lunghi, probabilmente, della storia dell’Inter. Ed è proprio in questi minuti che si concretizza l’inimmaginabile. Arriva l’occasione di Lautaro che non serve un disperato Lukaku, arriva contestualmente la rabbia e l’amarezza per la grande occasione sprecata e per l’assenza di lucidità dell’argentino che è stato forse troppo ingordo cercando la gloria personale. In poco tempo si passa al gol di Rodri che gela il sangue dei tifosi interisti. Bernardo Silva fa ciò che Lautaro non aveva fatto poco prima e Rodri completa in modo perfetto l’azione mettendo la ciliegina ad una partita magistrale.

Calano il silenzio e le tenebre su “San Siro” ma la voglia di riscatto non si fa attendere. Il calcio si sa, è fatto di occasioni e queste si ripresentano quando meno te lo aspetti. È ciò che accade poco dopo, quando sulla testa di Dimarco capita la palla dell’1-1 che va ad impattare sulla traversa: lo stadio salta in piedi ma l’urlo resta nuovamente in gola. Per i tifosi però è anche il momento della paura sulla possibile definitiva debacle, quando Phoden ha sui piedi la palla del 2-0 che spreca appoggiando comodamente nelle braccia di Onana. Per l’Inter ancora non è finita qui: a pochi minuti dal termine la palla gol più nitida passa sulla testa di Lukaku, Ederson para di riflesso con il ginocchio e l’arbitro fa chiaramente segno che la palla non è entrata. Inzaghi lancia la carica, i ragazzi in campo rispondono. Il City abbassa il baricentro e gioca di contropiede, i nerazzurri spingono quando vedono il cinque sulla lavagnetta del quarto uomo. È a recupero scaduto che arriva l’ultima grande occasione, con Ederson che si supera nuovamente sul colpo di testa di Gosens che devia nuovamente in angolo ma non c’è più tempo, il direttore di gara fischia tre volte. È finita ad Istanbul e il Manchester City può far festa ma non finisce la serata a Milano, dove i tifosi – anche in piazza Duomo – continuano ad incitare i loro beniamini.

San Siro
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Orgoglio. È questa la parola d’ordine alla luce di ciò che abbiamo visto in campo. Ed è questo quello che stiamo vedendo dentro e fuori lo stadio. L’epilogo di questa partita poteva essere diverso, perché mai come oggi abbiamo avuto la certezza che il calcio è una questione di centimetri. L’Inter ha giocato alla pari contro i campioni, avendo tre occasioni nitide per passare in vantaggio prima e pareggiare – o addirittura ribaltarla – poi, ha saputo soffrire quando doveva farlo e merita, così come lo sta ricevendo, l’abbraccio e il sostegno dei suoi tifosi. La curva ad Istanbul ha chiamato i giocatori per ringraziarli, altrettanto metaforicamente è avvenuto a Milano e accadrà al rientro della squadra. Orgoglio e alcuni aggiungerebbero rimpianto. Forse è così, sicuramente non lo è per i tifosi che anche defluendo dallo stadio non smettono di incitare i giocatori e i loro colori del cuore.

L’Inter ha dimostrato di essere arrivata in finale con merito e di essersela giocata alla pari con i più forti, con gli unici imbattuti nel torneo. Il rientro a casa sarà triste ma avverrà a testa alta. Una prestazione, sia in campo che fuori, che fa venire in mente le parole che Theodore Roosevelt pronunciò in un discorso alla Sorbonna nel 1910: “Non è il critico che conta, né l’individuo che indica come l’uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un’azione. L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza.

Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta”.

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