Mondo nel pallone

Quella partita dello Shakhtar Donetsk a un anno dall'inizio della guerra

La squadra ucraina impegnata a Rennes per difendere il vantaggio dell'andata nei play off di Europa League: la sfida però assume anche precisi connotati storici e politici

Quella partita dello Shakhtar Donetsk a un anno dall'inizio della guerra

In pochi questa estate si aspettavano di vedere lo Shakhtar Donetsk a febbraio ancora impegnato nelle coppe europee. Non tanto per il blasone del club che, per la verità, ai palcoscenici continentali è ben abituato. Quanto perché la squadra gioca in un campionato che si svolge a porte chiuse, a volte anche fuori dal proprio territorio e con le partite spesso sospese per gli allarmi aerei. È il campionato ucraino, portato avanti nonostante il conflitto e nonostante gli enormi problemi logistici.

Questo giovedì contro i francesi del Rennes, gli ucraini dello Shakhtar hanno la possibilità di avanzare ancora in Europa League e proiettarsi agli ottavi di finale. Una circostanza destinata ad avere, a prescindere dal punteggio finale, un valore extra calcistico. Anche perché la sfida è prevista in un giorno non certo come gli altri in Ucraina: a Rennes si giocherà il 23 febbraio, vigilia del primo anniversario dell'inizio della guerra.

L'ancoraggio dello Shakhtar al territorio del Donbass

Giovedì in campo, tra le squadre ucraine, ci sarà per la verità anche il Dnipro-1. Squadra nata pochi anni fa e da non confondere con lo storico Dnipro fallito nel 2019. I gialloneri saranno chiamati in Conference League a ribaltare l'1-0 subito a Cipro dall'Aek di Larnaca. Ma la partita dello Shakhtar, in una fase così delicata per l'Ucraina, ha significati ancora più profondi.

La squadra di Donetsk appare profondamente ancorata alla storia recente ucraina. Soprattutto perché lo Shakhtar a sua volta è profondamente agganciato al suo territorio di appartenenza. A quel Donbass da cui tutto è partito. Nome e colori sono un diretto richiamo all'elemento più caratteristico delle regioni orientali ucraine da più di un secolo a questa parte, ossia le miniere. Shakhtar vuol dire infatti “minatori” ed è il soprannome dato al club subito dopo la sua fondazione negli anni '30. Un soprannome per l'appunto, perché il primo nome vero è quello di Stachanovec. Un altro richiamo quest'ultimo alla storia del territorio. Il nome è ispirato ad Aleksej Stachanov, il leggendario minatore del Donbass passato agli onori della storia come simbolo della dedizione al lavoro ed esaltato dalla propaganda stalinista.

La squadra dei minatori di Donetsk, lo Shakhtar Donetsk per l'appunto, si tinge di arancio e nero a partire dagli anni '60. Un colore che ricorda quello dei paesaggi attorno le miniere di ferro che costellano il Donbass. La squadra durante l'era sovietica naviga stabilmente nella massima divisione, riesce a vincere quattro coppe sovietiche senza tuttavia arrivare a trionfare in campionato.

Per questo, al momento dell'indipendenza dell'Ucraina nel 1991, in molti si aspettano un'unica squadra dominatrice del neonato campionato nazionale: la Dinamo Kiev. Il club cioè capace di sopravanzare le formazioni di Mosca nell'albo d'oro sovietivo. Fino all'inizio degli anni 2000 i campionati sono appannaggio della Dinamo. Poi nella Champions League 2000/2001, gli appassionati, guardando l'elenco delle squadre partecipanti, notano una novità nella casella riservata alle squadre ucraine. Non c'è più soltanto la Dinamo Kiev, adesso compare anche lo Shakhtar Donetsk.

In quella Champions, i minatori in arancio e nero escono subito ma segnano l'inizio della loro scalata in Ucraina e in Europa. Nel 2002 (con Nevio Scala in panchina) arriva il primo titolo nazionale, a scapito della Dinamo. Con la squadra di Kiev inizia una costante alternanza nell'albo d'oro del campionato ucraino. Accade un po' quello che si vede solitamente in Spagna tra Real e Barcellona oppure in Scozia tra Rangers e Celtic.

Artefice della scalata dei minatori è il figlio di un minatore di origine tatara divenuto, al momento delle privatizzazioni post sovietiche, magnate delle miniere, delle acciaierie, della finanza e dei media. Si tratta di Rinat Achmetov, il quale prende lo Shakhtar nel 1995 dopo la morte dell'allora proprietario Akhat Bragin. Una morte violenta, avvenuta tramite un agguato teso proprio all'interno del vecchio stadio di Donetsk e in circostanze mai chiarite. Tra le aziende in mano ad Achmetov, ce n'è una destinata a essere legata al Donbass e alla guerra con la Russia scoppiata negli anni successivi: è l'acciaieria Azovstal di Mariupol.

Come presidente dello Shakhtar, il magnate ucraino si dimostra molto affidabile: la società cresce, di pari passo con i successi sportivi. Dal 2002 a oggi, la squadra vince 13 campionati ucraini, 13 coppe d'Ucraina e 9 supercoppa d'Ucraina. Nel 2009, sotto la guida di Mircea Lucescu in panchina, arriva anche il sigillo europeo con la vittoria dell'Europa League. Al momento, l'unico successo internazionale di una squadra ucraina dopo lo scioglimento dell'Urss. Nel 2009, arriva un altro successo seppur non sportivo: viene inaugurato il nuovo stadio dello Shakhtar, privato e con tutti gli standard Uefa tanto da ospitare anche gli europei del 2012. Il nome, manco a dirlo, richiama la regione: viene infatti nominato Donbass Arena.

Squadra in esilio già dal 2014

Un club, una storia, un blasone interamente ancorato al Donbass quindi. Impossibile scindere lo Shakhtar dalla sua regione. Una regione che però ben presto diventa teatro di guerra. Nel febbraio 2014 le proteste a Kiev contro gli accordi siglati tra Ucraina e Russia degenerano, fino alla caduta dell'ex presidente Yanukovich. I nuovi governi premono per l'integrazione del Paese in Europa e tolgono il bilinguismo russo-ucraino. Nel Donbass, regione a maggioranza russofona, tutto questo viene visto con sospetto.

Nell'aprile di quell'anno, Donetsk e Lugansk diventano epicentro delle contromanifestazioni filorusse. In quello stesso mese, nelle due città nascono due repubbliche separatiste. Lo Shakhtar è costretto a trasferirsi. Nell'agosto del 2014 il Donbass Arena viene anche danneggiato dagli scontri tra esercito ucraino e separatisti. Su quel legame inscindibile tra lo Shakhtar e il suo Donbass, la storia sembra voler mettere uno zampino piuttosto pesante.

Achmetov decide di far giocare la squadra da tutt'altra parte, a Leopoli. Dal profondo est dell'Ucraina, si vola quindi nel profondo ovest del Paese. Per motivi economici, principalmente: non iscrivere la squadra al campionato ucraino rischia di far perdere sponsor, soldi e il blasone europeo faticosamente costruito in due decenni. Ad ogni modo, la scelta ha anche un respiro politico. Lo Shakhtar continua infatti a esistere come squadra ucraina. Niente esperimenti quindi di campionati locali organizzati dai separatisti. La decisione viene approvata dagli ultras, gli stessi che nel 2014 siglano un documento di tregua con i gruppi rivali per sostenere le proteste di Kiev.

Nel 2017 si prova ad ancorare nuovamente la squadra all'est dell'Ucraina, con il trasferimento a Kharkiv. Ma lo stadio del Metalist non è l'ultima tappa del pellegrinaggio: nel 2020 la società decide di giocare a Kiev, nello stadio dei rivali della Dinamo. È il segno di un esilio che sembra non aver fine.

I punti di forza del “nuovo” Shakhtar

L'inizio dell'azione di guerra russa nel febbraio 2022 ha senza dubbio un impatto su tutto il movimento calcistico ucraino. E quindi anche sullo Shakhtar. Il campionato, alla vigilia della ripresa dopo la pausa invernale, viene interrotto. I neroarancio, allenati da Roberto De Zerbi, in quel momento sono in testa. Il titolo non viene assegnato, ma per l'attribuzione dei posti Uefa viene considerata la classifica aggiornata fino alla vigilia della sospensione.

Questo vuol dire per lo Shakhtar la qualificazione diretta alla fase a gironi di Champions League. È l'unica buona notizia per il club che non riesce, come prevedibile, a mantenere i propri campioni. Molti di questi sono brasiliani e compongono la storica "colonia verdeoro" del Donbass. Vanno via, tra gli altri, Dodo, Ismaily, Marcos Antonio e Fernando. Si riparte da un “blocco ucraino”, tra cui spiccano Rakitskyi e Taras Stepanenko. La squadra viene affidata al croato Igor Jovicevic, reduce da ottime annate al Dnipro-1.

In avanti c'è Zubkov, affiancato dal burkinabé Lassina Traore. C'è poi il talento Mudryk, numero dieci di recente pagato cento milioni di Euro dal Chelsea. Una cessione dai risvolti anche politici, visto l'impegno di Achmetov di girare una parte dei soldi all'esercito ucraino.

Ad agosto il campionato riprende. Si gioca tra Kiev, Leopoli, alcune città dell'ovest e a volte si emigra in Polonia. Le partite sono rigorosamente a porte chiuse. Una situazione surreale e non certo ideale per portare avanti l'attività sportiva. Eppure in Champions lo Shakhtar inizia a sorprendere. Sorteggiato con Real Madrid, Lipsia e Celtic, gli ucraini partono con un poker realizzato in casa dei tedeschi, pareggiano a Varsavia (stadio scelto per le competizioni europee) contro il Real Madrid. Al Bernabeu la sconfitta è di misura, a pesare è il doppio pareggio contro il Celtic. Perché poi, nello scontro diretto contro il Lipsia, i tedeschi ricambiano il poker dell'andata e staccano il pass per gli ottavi di finale.

Tuttavia lo Shakhtar può continuare in Europa League. La scorsa settimana, sempre a Varsavia, gli ucraini vincono contro il Rennes. E ora, alla vigilia del primo anniversario del conflitto, si giocano l'accesso agli ottavi di finale. Comunque vada, per i neroarancio e per il calcio ucraino sarà un'importante pagina di storia.

Che ne sarà del futuro?

Nell'immediato futuro c'è quello che sarebbe un vero e proprio miracolo europeo. Nel prossimo futuro invece, le questioni in ballo sono molteplici. A partire dalla stessa identità del club. Lo Shakhtar, per via del suo blasone, può trovare ospitalità ovunque in Ucraina. Ma il pellegrinaggio lontano da Donetsk rischia di snaturare la squadra dei minatori. Con non pochi interrogativi sulla prosecuzione della vita del club. Anche perché non mancano i problemi finanziari. Achmetov continuerà a finanziare la società, ma non potrà durare per sempre. Dall'inizio della guerra, il magnate ha perso i due terzi del suo patrimonio. E di nuovi sponsor all'orizzonte se ne vedono pochi.

Tra crisi identitarie e finanziarie, lo Shakhtar vede gli spettri di tanti altri club ucraini falliti negli ultimi anni. Intanto però si appresta a giocare un'altra notte europea.

Basta e avanza, per il momento, per dare speranza ai tifosi e all'intera Ucraina.

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