Carsen e Barenboim avete tradito Mozart

L’allestimento del «Don Giovanni» in chiave moderna è inutile e ridicolo: è come un cattivo restauro di un’opera di Giotto

Carsen e Barenboim  avete tradito Mozart

La giornalista di regime Natalia Aspesi, appagata della caduta di Berlusconi (commendatore), più che di quella di Don Giovanni, dopo molti articoli molesti e carichi di fiele ha scritto un commento sobrio per la sobria serata di inaugurazione della Scala, perdendo l’occasione di protestare contro quello che aveva visto limitandosi a descriverlo: «Le giovani e belle signore mozartiane, che amano e odiano Don Giovanni, sono, se mai lui volesse, già pronte alla bisogna, in sottoveste di pizzo nero, in camicia da notte di raso bianco» perché «è chiaro» (ma stranamente non la disturba, tanto è Don Giovanni, non Berlusconi) «che il regista ha voluto dare un’interpretazione massivamente maschilista del mito dongiovannesco, attualizzandolo con la vanità e l’esibizionismo, visto il modo in cui lui mostra compiaciuto il suo pallido torace sotto vestaglie di seta o si porta appresso un intero guardaroba come fosse l’american gigolò di Richard Gere». Lo spunto è buono. Ma l’osservazione poteva essere più ficcante se non sono riusciti a trattenersi Francesco Saverio Borrelli: «Spettacolo d’un finto moderno, non restituisce la forza dell’opera»; Umberto Eco: «Spettacolo così così»; Alessandro Cecchi Paone: «Orrendo. Sembra firmato da Landini, il sindacalista a capo della Fiom»; Filippo Facci: «Non si riusciva a comprendere in nessun modo la necessità di rendere moderno ciò che non lo era». Par e trans condicio.

Ma la Aspesi non se l’è sentita. Eppure è evidente il suo contrasto con il critico del suo stesso quotidiano, Michelangelo Zurletti, il quale pare ritenere, non si sa come, che la regia di Robert Carsen sia meglio di Daniel Barenboim e delle voci. Certo non mancano due idee intelligenti sul finire: il Commendatore nel palco reale tra Napolitano e Monti, e il beffardo Don Giovanni che non muore e che vede sprofondare nell’abisso i suoi compagni di avventura che credevano di sopravvivergli.

Sarebbe un’eresia ritenere che quell’orgia certamente volontaria di trolley, vestaglie, cravatte, sedie e appendiabiti presi dal guardaroba della Scala e messi in scena, è meglio delle voci, generalmente efficaci, e della direzione di Barenboim. Una considerazione veramente bizzarra e che fa intendere la differenza fra Borrelli e Bolle che, inopinatamente intervistato, sentenziava con favore sull’allestimento. Vorrei vedere lui travestito così mentre balla il Lago dei cigni! Ma ormai Bolle è istituzionale e deve stare nella parte come il povero Napolitano e il povero Ornaghi che, nascondendosi dietro Barenboim, hanno dovuto fingere che l’opera fosse loro piaciuta, anche le scene. Più libero e naïf il sindaco Giuliano Pisapia che, politicamente corretto, ha dichiarato che Don Giovanni non è mai stato un suo mito e che il personaggio (tanto più nella versione berlusconiana di Carsen) non gli è mai stato simpatico.

Barenboim era piccolo e invisibile nel golfo mistico e va giudicato soltanto per la musica che ha rievocato con gusto e pienezza di suono; ma, alle rare viste, era orribilmente scamiciato per non mettere a disagio Don Giovanni con i suoi completini borghesi e alla moda. In realtà a lui, neodirettore musicale della Scala, andrebbero indirizzate le invettive del Commendatore: «Pentiti!... Pentiti!... Pentiti!...» rafforzate da un «Vergognati!». Si devono infatti vergognare lui, Carsen e la costumista Brigitte Reiffenstuel per avere irriso e insultato non Don Giovanni (facile obiettivo dei moralisti), ma Mozart con un allestimento umiliante, ingiustificato e ridicolo, anche se con l’alibi delle scenografie di ispirazione scaligera (che vuol dire sedie e appendiabiti del foyer e del guardaroba).

Il tradimento del racconto e dei personaggi, salvati dalla musica e dalle voci, è come un cattivo restauro di un’opera d’arte che indignerebbe chiunque, un aggiornamento di Giotto e di Piero della Francesca. Forse, perché è teatro, si pensa: tanto è per una volta sola. Ma lo scempio e l’insulto ci sono stati. E qualcuno dovrebbe vendicare Mozart e chiedere ai colpevoli di dimettersi. La sobrietà rispetto ai valori artistici, non è meno importante di quella richiesta e apprezzata per i governi.

Per questa omessa vigilanza del direttore artistico, vorremmo un direttore tecnico che ci risparmiasse almeno nudi inutili che Mozart avrebbe guardato con raccapriccio, come le sottovesti che li ricoprono durante tutto il triste e comico (non buffo) spettacolo.

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