Clandestino sgozzò David Raggi. Solo 21mila euro di risarcimento

L'immigrato era stato espulso e doveva scontare anni di carcere. Ma era libero. E ora il Tribunale "assolve" lo Stato

Clandestino sgozzò David Raggi. Solo 21mila euro di risarcimento

Quanto vale la vita di un figlio ammazzato da un clandestino? Poco più di 21mila euro. Non uno spicciolo in più. Ieri la famiglia di David Raggi si è svegliata "sorpresa" dall'entità irrisoria del risarcimento ottenuto per la morte di quel ragazzo sgozzato senza motivo da un immigrato. Un secondo schiaffo a quattro anni esatti dall'omicidio.

Lui, l'assassino, non sarebbe dovuto essere lì. Era senza permesso di soggiorno, un curriculum criminale da far invidia a molti malviventi e tutte le carte in regola per restare chiuso in carcere o essere rimpatriato a Casablanca. E invece era ancora in Italia. Ha potuto vagare per Terni indisturbato, aggredire due poliziotti, poi incrociare David Raggi e - senza un motivo apparente - prendere una bottiglia e affondarla nel collo del povero ragazzo indifeso. Era la mezzanotte tra il 12 e il 13 marzo 2015.

Amine Aassoul, 30 anni marocchino, ora è rinchiuso nel carcere di Spoleto. Dovrà scontare 30 anni di carcere come deciso dal tribunale di Appello. Ma il problema non è questo: la giustizia ha fatto il suo corso ed è giusto che il colpevole di un omicidio paghi. Il fatto è che la famiglia di David dopo l'assassinio ha chiesto un risarcimento allo Stato per quella perdita ingiusta. All'inizio l'Italia negò l'indennizzo perché David era troppo "ricco", visto che guadagnava circa 13mila euro all'anno e il redditto massimo per accedere al fondo è di 11mila. I Raggi decisero allora di portare in Tribunale il ministero dell'Interno e quello della Giustizia (per le mancate espulsioni o carcerazione), oltre che la Presidenza del Consiglio. Infine, chiesero allo Stato 2 milioni di euro che avrebbero voluto investire in opere di beneficenza.

Dopo anni di battaglie legali, però, il Tribunale civile ha riconosciuto a mamma, papà e fratello appena 21mila euro di indennizzo. Da dividere in tre. È quanto previsto dalla legge 122 del 2016. Certo, i soldi non riportano indietro il caro defunto. Ma la sentenza profuma di doppia beffa. "Sono sorpreso dall'entità della somma di fronte ad una tragedia tale", dice il legale della famiglia Massimo Proietti alla Nazione. "Basti pensare alla reazione di Valter, il papà, che ha ricordato piangendo come un suo amico abbia avuto 11mila euro dopo che gli era stato ucciso un cane da caccia". È un secondo schiaffo, forse il terzo dopo quel dito medio mostrato dall'assassino all'uscita del tribunale: "La vita di mio figlio - si dispera il padre - vale meno di quella di un cane".

Secondo i giudici non ci sarebbe alcuna responsabilità da parte dello Stato. Ma se Aassoul fosse stato espulso, saremmo qui a parlare di omicidio? In fondo il marocchino era sbarcato in Italia nel 2015 e aveva fatto richiesta di asilo. Peccato che nel Belpaese ci fosse già venuto e fosse stato espulso nel maggio precedente dopo alcuni reati commessi nelle Marche. Aveva accumulato qualcosa come sei anni e otto mesi di carcere, mai scontati. Dopo il rimpatrio è tornato su un barcone, ha chiesto asilo, gli è stato negato e lui ha pure fatto ricorso contro il diniego. In attesa del verdetto del giudice, ha tolto la vita a David. "Perché stava a Terni, qualcuno me lo sa spiegare?", si è domandata tra le lacrime la mamma di David. "Perché stava in Italia e perché stava in Umbria, qualcuno me lo dovrebbe spiegare".

Secondo i giudici Assaoul non poteva essere espulso, spiega l'avvocato, perché "convivente con la madre che, nel frattempo aveva acquisito la cittadinanza italiana". Per questo sono stati assolti sia il ministero dell'Interno che quello di Giustizia.

"Per quanto riguarda la mancata carcerazione - continua il legale - non si ritiene che ci siano responsabilità del Ministero dell'interno, che non ci sia responsabilità della presidenza del consiglio". Il clandestino era libero di uccidere, ma la colpa non è di nessuno. E così ai genitori non resta che il senso di ingiustizia per un giovane morto senza un perché.

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