La vera offesa, la vera intolleranza sono nella presunzione di essere migliori, nel proporsi come diversi, freschi e nuovi, senza rispetto per gli altri e per la esperienza, bollati come il «vecchio». Il disprezzo per il vecchio è una espressione di mentalità fascista. I vecchi vanno rispettati, venerati, protetti. E invece i finti giovani si vantano di essere nuovi e della loro inesperienza. Si vantano di una storia che sarebbe solo loro, e di un programma che sarebbe «approfondito» solo perché è il loro, mentre il nostro sarebbe «fantasioso». Bene, noi siamo per i vecchi, per l'esperienza, per la fantasia. Solo loro sono nuovi, solo loro sono giovani. Chissà perché allora io che sono vecchio vedo «persone», non giovani o vecchi, non uomini e donne, non eterosessuali o omosessuali; ma uguali. Ecco: noi siamo anche uguali. Uguali. Non diversi. E non distinguiamo il mondo in giovani e vecchi. Ma in bravi e incapaci, in esperti e inesperti. Il nuovo in sé non è un merito. Come non lo è essere giovani. E non è una colpa essere vecchi. È nuovo chi si autoproclama nuovo, senza neppure essere giovane? Diverso, essendo uguale? A noi importano esperienza, conoscenza, amore. Il loro nulla si chiama «nuovo». Il loro vuoto si chiama «svolta». Per noi conta la Storia, non le svolte. L'uguaglianza, non la diversità.
Il rispetto della tradizione, che loro chiamano «il vecchio». Ai migliori, ai nuovi, ai diversi, voglio rispondere con i versi di un grande poeta, Sandro Penna: Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune.
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